“Trieste val bene una sassata”. Quando i titini spararono sul Giro

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“Trieste val bene una sassata”. Quando i titini spararono sul Giro

15 Maggio 2011

“I giardini di Trieste non hanno più fiori. Le campane di Trieste non hanno più suoni. Le bandiere di Trieste non hanno più palpiti. Le labbra di Trieste non hanno più baci. I fiori, i palpiti, i suoni, i baci sono stati tutti donati al Giro d’Italia” (Bruno Roghi sulla Gazzetta dello Sport del 1° luglio 1946, editoriale in prima pagina, La promessa mantenuta).

Dopoguerra. Al Giro del ’46 c’è da pedalare per 3.039 km dal 15 giugno al 7 luglio. Il Giro della rivalità tra Coppi e Bartali (stavolta vince Bartali). Quello dell’arrivo a Trieste della dodicesima tappa. Quando spararono sul Giro d’Italia. Il comunicato delle Nazioni Unite diramato alle 16:45 del 30 giugno: “Due chilometri a est di Pieris al confine della Venezia Giulia un grosso barile è stato posto sulla strada davanti ai corridori. Sono state anche lanciate delle pietre contro di loro ed essi si sono fermati. La polizia della Venezia Giulia al seguito della corsa, ha allora provveduto a disperdere una piccola folla all’angolo della strada. Mentre gli agenti si accingevano a fare ciò, si è sparato contro di loro e un agente è stato ferito. La polizia ha risposto al fuoco. Successivamente alcune persone nascoste tra i cespugli, aprivano il fuoco contro la polizia dall’altra parte della strada. La polizia ha aperto il fuoco contro costoro e sia la folla che gli assalitori sono stati dispersi. I corridori si sono poi riuniti per decidere se continuare la corsa fino a Trieste o meno. Alcuni sono andati a Udine e altri hanno proseguito in macchina fino a Miramare. Di lì hanno raggiunto l’ippodromo Montebello a Trieste in bicicletta. Tutti gli sportivi hanno accolto la notizia di questa aggressione contro gli atleti con sorpresa e disgusto. L’atto di questo gruppo di persone nei pressi di Pieris non torna a favore della causa che essi credono di servire”. Questo gruppo di persone sono i militanti comunisti slavi o filoslavi, la causa che credono di servire il ritorno della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Una res nullius sotto il controllo delle Nazioni Unite, solo trent’anni dopo col Trattato di Osimo saranno definiti i sofferti confini e le aree d’influenza tra i due Paesi. Trieste all’Italia, Fiume, Pola e Zara a Tito. Paolo Facchinetti, ex direttore del Guerin Sportivo: “L’arrivo di quei 17 corridori nella città giuliana evitò un conflitto etnico-politico fra italiani e slavi” (Quando spararono sul Giro d’Italia, Limina 2005).

La prima pagina della Gazzetta dello Sport del 1° luglio 1946 dopo l’attentato di Pieris

“Trieste val bene una sassata” (dalla Gazzetta dello Sport del 2 luglio 1946). Prime avvisaglie del fattaccio dopo il passaggio a Ponte sull’Isonzo. Si entra nella nella zona A sotto la giusrisdizione alleata, iniziano a piovere fiori di campo ma anche qualche pietra. Il tempo d’un altro strappetto, ed a Pieris la strada della corsa è sbarrata da una barricata. Piovono sassi, poi pure colpi di rivoltella. Ortelli in maglia rosa si butta sotto una macchina, i carabinieri rispondono al fuoco, gli spettatori scappano nei campi, gli attentatori in fuga inseguiti. Panico. Le squadre più importanti subito decidono di non proseguire. E’ una tappa adatta giusto a qualche fughetta, e anche Coppi e Bartali non ci stanno a rischiare la pelle. Rifugiano tutti ad Udine, tappa sospesa. Ovviamente alla notizia Trieste esplode in un odio antisloveno di cui fa però le spese solo una libreria data a fuoco. Se l’interesse sportivo della gara è finito, la corsa assume il valore simbolico di un rito. Diciassette corridori decidono di continuare lo stesso. Passano due ore e gli organizzatori decidono che la tappa riparte dal bivio di Miramare. Tra i più infervorati, il triestino Giordano Cottur della Wilier Triestina, squadra che riunisce solo corridori delle Tre Venezie. Supera un passaggio a livello e si rimette a pedalare. Si procede lenti, la strada è piena di chiodi che gli spettatori di poco avanzano i corridori nel togliere. C’è pure Luigi Malabrocca con la sua maglia nera, e ovviamente arriva ultimo.

Giordano Cottur, triestino, il primo dei 17 eroici corridori che dopo l’attentato di Pieris sono arrivati a Trieste

“I corridori raggruppati a Barcola hanno incominciato la sfilata d’onore. Per sette chilometri, sino all’ippodromo di Montebello, essa è passata tra scenari fantasmagorici di folla in delirio… La strada vastissima è un nereggiare di folla che la percorre gridando: I-ta-lia, I-ta-lia, e muove alla volta dei corridori che pensano forse di essere precipitati tra le fiamme di un sabba infernale… Le acclamazioni aumentano d’intensità. Non è più un sabba infernale, è un sabba d’italianità” (ancora Bruno Roghi, La Gazzetta dello Sport, La promessa mantenuta). Per Cottur è un tripudio di popolo all’ippodromo di Montebello. I tifosi lo portano in trionfo e gli sparisce pure la bici. “Il Giro della rinascita – scrive La Voce libera di Trieste -. “(…) se anche non fosse giunto fin qui, non per questo Trieste sarebbe stata meno italiana, perché non basta escluderla da un Giro d’Italia per farle cambiare nazionalità”. Solo vent’anni dopo farà chiarezza sull’episodio Giovanni Padoan ne Un’epopea partigiana alla frontiera tra due mondi. Mente responsabile dell’attentato è Franc Stoka, leader della Osvobodlina Fronta (Fronte di liberazione): “Si recò a Monfalcone a chiedere ai comunisti di quella sezione che impedissero il passaggio del Giro d’Italia. Questi, comprendendo l’enormità della richiesta, si rifiutarono recisamente di attuare un’azione così dissennata. Non rinunciando al suo progetto, lo Stoka si recò a Pieris e qui, purtroppo, i comunisti locali aderirono all’invito che venne messo in atto e che, come è noto, provocò stupore e reazione anche in ambienti non nazionalisti”.

Gianni Brera. San Zenone Po (Pavia), 1919, morto in un incidente stradale a Codogno (Milano) nel 1992. Uno dei più grandi giornalisti sportivi italiani

“Nello sport non ci sono stranieri”. Non solo Coppi e Bartali, due anni dopo al giro del ’48 spunterà Fiorenzo Magni, il terzo uomo. Del ’49 invece è l’epica coppiana della Cuneo-Pinerolo. 190 chilometri di fuga, 90 in salita e la metà sotto la pioggia. Cinque valichi: Vars, Maddalena, Izoard, Sestriere e Monginevro. Fora 5 volte sugli sterrati con Bartali che insegue testardo. Arriverà a 11’ e 53. “Ti sei arreso finalmente”, commenta impietoso Dino Buzzati. L’airone all’arrivo pesa 3 chili di meno. “Alto di persona, ma non allampanato per il solo benigno fatto di non avere collo”, lo descrive Gianni Brera. Nel ’50 invece la prima vittoria di uno straniero, lo svizzero Hugo Koblet, farà storcere un pò il naso: sulla Gazzetta del 13 giugno 1950 sempre Gioàn zittirà tutti con un titolo epocale: “Nello sport non ci sono stranieri”.

Continua…