Trivelle: il pastrocchio del Governo sul referendum
16 Aprile 2016
Domani c’è il referendum sulle trivelle, gli italiani dovranno decidere se abrogare la norma che permette lo sfruttamento a mare di gas e petrolio per la durata utile dei giacimenti. Ma a 24 ore dal voto, quello che colpisce è il modo con cui il Governo Renzi ha trattato questa vicenda. Prima un lungo silenzio, la scelta di tenere il profilo basso, nonostante il buco nero – è il caso di dirlo – che si era aperto tra l’esecutivo e i governatori delle Regioni meridionali, tutte a guida Pd, che il referendum hanno chiesto e ottenuto. Poi, con l’avvicinarsi del voto, Renzi invita all’astensione, dice agli italiani domenica andate al mare. Infine il ministro dell’ambiente, Galletti, annuncia “voterò No”, definendo la consultazione “strumentale e residuale”. Non so, ni, no. L’impressione, come si dice, non è delle migliori. Ognuno va per conto suo e non si sa chi tiene la rotta.
Figurarsi se non è legittimo avere idee diverse ma purtroppo l’atteggiamento tenuto dal governo sul referendum non è che un riflesso della incertezza con cui Renzi ha condotto fino a questo momento la politica energetica del nostro Paese, se restiamo agli idrocarburi. E’ davvero mancata la chiarezza. Si è iniziato in un modo e non si capisce come andrà a finire. Dopo il suo insediamento, Renzi sembrava orientato a proseguire la politica dei suoi predecessori sbloccando gli investimenti offshore. Nella primavera scorsa in parlamento si riesce perfino ad arginare l’emendamento-canaglia sull’airgun, che gridava vendetta visto che stiamo parlando di una tecnica di prospezione geologica usata in tutti i Paesi del mondo.
L’emendamento viene bloccato ma quello sulle 12 miglia, presentato qualche tempo dopo, invece passa, vietando le perforazioni a mare a una distanza di oltre 20 chilometri dalla costa. Si dice, per ragioni di sicurezza. Lo sosteneva anche l’allora ministro Prestigiacomo che introdusse la norma sull’onda della commozione per il disastro di Macondo nel Golfo del Messico. Peccato che l’Atlantico non sia l’Adriatico, né per profondità né per pressione alla pompa. L’atteggiamento oscillante dei governi che si succedono alla guida del Paese ha però un effetto preciso, scoraggiare gli investitori esteri. Dopo lunghi anni serviti a ottenere tutte le autorizzazioni del caso, si fa lo sgambetto all’azienda inglese impegnata nel progetto Ombrina Mare in Abruzzo. Trascorre qualche altro mese e anche Shell fa le valigie rinunciando ad altri investimenti a Taranto.
Ecco, ripensando a come è stata gestita la campagna referendaria e guardando al quadro della politica energetica italiana nel suo insieme, l’effetto è desolante. Un governo che fa passi in avanti, passi indietro, passi al lato, che in zona cesarini vorrebbe ma non può, e un premier, Matteo Renzi, che nel migliore dei casi domenica sarà soddisfatto perché gli italiani non sono andati a votare, nel peggiore farà a meglio a guardarsi le spalle da chi, politicamente, e nel suo partito, ha saputo giocare le sue carte. In mezzo, di tutto di più, le rinnovabili, le bufale, i notriv, Emiliano, Tempa Rossa, le dimissioni della Guidi e un dicastero strategico per le questioni che stiamo affrontando che, a distanza di due settimane, resta ancora una casella vuota nella compagine di governo. Ma tranquilli che c’è l’interim di Renzi.