Trolls for Trump, quando il complotto è divertente

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Trolls for Trump, quando il complotto è divertente

30 Novembre 2017

Hillary Clinton e il senatore repubblicano John McCain, acerrimi avversari di Trump, paparazzati con un tutore alla gamba. Che però tutore non è bensì un braccialetto elettronico, visto che i due sarebbero agli arresti per non meglio specificati reati contro la nazione americana. Arrestati in gran segreto perché negli Usa, dopo la vittoria di Trump sponsorizzata da quel pezzo di intelligence militare che si oppone ai progetti di destabilizzazione globale orditi dalla Cia (agli ordini dei clan Bush-Clinton-Obama) negli ultimi decenni, adesso sarebbe in atto un repulisti in grande stile. 

L’elite, l’establishment finanziario, sarebbe finito nel mirino delle forze fedeli ad “America First” cioè a chi vuole riportare l’ordine dentro casa e fuori. Si veda l’incidente aereo avvenuto a due passi da una delle ex residenze dei Rothschild lo scorso 17 novembre, che viene interpretato dai ben informati come un messaggio minaccioso ai paperon de paperoni della elite transnazionale. Intanto pirati informatici come il sempreverde Kim Dotcom – quello che in campagna elettorale twittò dove andare a pescare i documenti che Hillary diceva di aver distrutto per sbaglio – plaudono al piano per sovvertire l’establishment globalista in nome della libertà e della sovranità nazionale. Fioccano le teorie su Trump venuto a prosciugare la palude di Washington e dei grandi poteri internazionali. Degli organismi come le Nazioni Unite e di quei finanzieri speculatori come George Soros, quest’ultimo impegnato a eseguire dietro il mantello di organizzazioni filantropiche la sostituzione etnica della Europa, il “multikulti”. 

Ripensando all’elenco di complotti, trame e teoremi, che abbiamo appena elencato, si può dire che girando su Internet trovi veramente di tutto. Storie strane che più strane non si può, spesso alimentate dalle nicchie di internauti trumpisti. 

Ma è un po’ limitante stigmatizzare “l’armata dei troll” che spesso gioca con queste teorie e le fa girare, quel popolo del web che rappresenta una delle basi elettorali del Don (dai grandi siti di controinformazione come Breitbart fin giù nel cyberspazio dentro Reddit e i gruppi di discussione come 4chan) unicamente come un universo paranoico e complottista. Perché il complottismo, quello classico, che si è alimentato per anni nei meandri della cultura postmoderna, era malato, vedeva nemici ovunque, resta un modo essenzialistico di dividere la realtà tra buoni e cattivi, bianco e nero, quando non si riesce a dare una spiegazione convincente della complessità del mondo in cui viviamo. 

Il troll trumpista inaugura invece una nuova era in cui il complotto non è più paranoico bensì ironico, dissacrante, e quindi, in buona sostanza, consapevole di se stesso, dei suoi limiti e di quel fondo di verità o di deformazione distopica della verità che c’è dietro ogni teoria del genere. Non può che essere letta in questo modo, paradossale e divertente, l’altrettanto inquieta vicenda di Q-anon, l’anonimo estensore di post su 4chan, balzato agli onori delle cronache internettiane e twittarole per la sua capacità di predire i cinguettii del Don, del presidente degli Usa oltre che i suoi spostamenti. 

Si scopre che il misterioso Q-anon scatta foto da un aereo in volo sull’oceano, e che su quella rotta, quel giorno, transitava non un aereo qualsiasi ma l’Air Force One, l’aereo del presidente. Per cui comincia a girare voce, sempre più insistente, che il mister X così ben informato potrebbe essere parte dell’inner circle trumpista, anzi, dice qualcuno, Trump in persona. Beh, se è così, se Trump è Q-anon, è come se il presidente fosse sceso nell’arena del web per rivolgersi a chi parla la sua stessa lingua e per dirgli cose che nel regime mediatico del pensiero unico al Don è vietato pronunciare su tanti temi, sicurezza, economia, immigrazione. 

Più che davanti a un pericoloso complotto, insomma, siamo di fronte all’ennesima trovata del Don mai così a suo agio in Rete: un nuovo esempio di “pranksterism”, cioè quella ventata di politica punk venuta a spazzare via con la sua verve il vecchio stereotipo del complottista sfigato ed anche chi, come i padroni del web, pensava di imprigionare Trump nella cornice istituzionale di internet, Google, Facebook i social network. E se lo ritrova invece a chattare di nascosto, ma neanche tanto, dentro quei gruppi, sarcastico e imprevedibile presidente, una specie di “Macno” del miglior Andrea De Carlo ma tutto virtuale.