Troppi ricchi in Italia? Come i media stuprano Bankitalia

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Troppi ricchi in Italia? Come i media stuprano Bankitalia

03 Aprile 2012

Ho dedicato stamane la “Versione di Oscar” su Radio24 al tema che ieri campeggiava sui media italiani. E che mi è sembrato un ottimo, ennesimo esempio di come sui temi economici l’informazione fabbrichi mostri accarezzando il pelo del luogocomunismo ideologico. Questa volta, riuscendo anche a stuprare Bankitalia, facendo dire a un suo Occasional Paper l’esatto opposto di quel che dice.

Ho il massimo rispetto per gli economisti che si cimentano con il problema della distribuzione dei redditi, col tempo ho imparato a riconoscere a distanza il peso delle diverse scuole economiche e politiche in materia di studi sulla dispersione e concentrazione di redditi e ricchezza. Vi sono alcuni – parecchi, nella vulgata mediatica che fa poco attenzione alla serietà di papers, modelli econometrici e rilevazioni statistiche –  per i quali battere e ribattere sul tema “i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri” è un classico refrain per criticare l’economia di mercato, il colore dei governi in carica,  e spesso entrambe le cose. Caduti nella storia i modelli antimercato, intellettuali e orfani del marxismo e del fascismo non hanno di meglio che soffiare instancabilmente contro mammona che detterebbe legge.

Direte voi che anche Obama ha attaccato nel Pray Breakfast di febbraio i ricchi, e ha detto che Gesù sarebbe favorevole a tassarli di più. Cristo avrà sorriso, nell’apprendere quanto fratello Barack abbia dimenticato l’elementare risposta data dal maestro a chi voleva trarlo in trappola chiedendogli sulla giustezza delle tasse da pagare allo Stato, e Lui si limitò freddamente a continuare a far segni nella sabbia e a rispondere “restituite a Cesare quel che di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”. Non proprio una risposta da appassionato di curve delle aliquote, ma rassegnatamente e legalitariamente indifferente ai pasticci dei politici su questa terra, rispetto alla giustizia dell’Altra.

Detto questo, è stato assolutamente stupefacente ciò che i media italiani hanno riservato al Paper su “Ricchezza e diseguaglianza in Italia” di Giovanni D’Alessio, uscita a febbraio negli Occasional Papers di Bankitalia. L’autore è persona seria, non ha alcuna responsabilità in ciò che i media han creduto di fargli dire. Che, nel testo, non c’è: invito tutti a leggerlo. Lo “scandalo” su cui tutti hanno titolato legandolo agli effetti della crisi, cioè i famigerati 10 italiani più ricchi tanto patrimonializzati quanto i tre milioni di italiani più poveri, è un vecchio dato del 2006! Peraltro è da notare che avercene, come Michele Ferrero e Del Vecchio di Luxottica: gente che si è fatta da sé partendo dal nulla, non rientiérs parassitari.

Seconda questione su cui tutti o quasi hanno banalizzato, semplificato e  mistificato: il presunto aumento della concentrazione della ricchezza. In D’Alessio, non lo trovate. Trovate invece ciò che gli studiosi sanno bene, anche se magari ai media piace meno. Dopo un calo nel biennio 1989-91, la disuguaglianza si riporta pressoché sui valori del 1987 tra il 1993 e il 2000, per poi subire un nuovo calo tra l’inizio del secolo e il periodo 2004-2008. Ripeto: ca-lo! Al pre-crisi l’Italia è arrivata con l’indice di Gini che scendeva, quanto a concentrazione della ricchezza detenuta dal decìle e dal centìle più affluente della popolazione. Sono diverse le componenti a spiegarlo. La progressiva diffusione della proprietà dell’abitazione di residenza, per esempio, è passata da poco più del 50 per cento nel 1977 a quasi il 70 per cento nel 2008. Non proprio roba da Paese impoverito. Mentre negli anni in cui la Borsa tira, la tendenza alla concentrazione di ricchezza verso l’alto riprende forza. I dati degli ultimi due anni semplicemente non li abbiamo, per apprezzare davvero che cosa è avvenuto. Di sicuro, la Borsa  è andata male, tanto per cominciare. Ma la percentuale di case detenute in proprietà è salita ancora. In ogni caso, la concentrazione di ricchezza scen-de-va, non sa-li-va.

Terza questione: come stiamo messi in Italia, rispetto agli altri Paesi avanzati?  Come risultano i livelli di ricchezza e di disuguaglianza della ricchezza in Italia nel panorama internazionale? Rispondo citando testualmente D’Alessio:

“Per quanto riguarda l’ammontare della ricchezza delle famiglie, le stime di Davies, Sandstrom, Shorrocks e Wolff [2009] sulla distribuzione dell’intera ricchezza del pianeta attribuiscono una posizione piuttosto favorevole all’Italia; considerato pari a 1 il peso del nostro paese in termini di popolazione, l’indice risulta pari a circa 3 in termini di Pil e a circa 4,5 in termini di ricchezza. In altri termini, il nostro paese risulta maggiormente favorito in termini di ricchezza pro capite di quanto non lo sia per il prodotto pro capite. Per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza, le indicazioni che si ricavano dagli studi internazionali presentano risultati non sempre convergenti. Secondo le indicazioni di Sierminska, Brandolini e Smeeding [2007], i livelli di disuguaglianza che si osservano in Italia sarebbero inferiori a quelli di tutti i paesi considerati nella loro analisi (Svezia, Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Germania e Finlandia). Questa considerazione rimarrebbe inalterata se in luogo dell’indice considerato da quegli autori si valutasse la posizione dell’Italia sulla base degli indici corretti prima mostrati. Altre stime [Davies, Sandstrom, Shorrocks e Wolff, 2009] mostrano che gli indici di concentrazione dell’Italia sono relativamente bassi (al 20esimo posto su 25 paesi analizzati); gli indici corretti porterebbero l’Italia verso il centro della classifica. Le stime, come si è detto, non sono sempre coerenti e vanno prese con una certa cautela, in quanto scontano le differenze metodologiche tra le varie indagini e i problemi di misura che possono incidere in modo non marginale sui risultati. Per l’Italia, tuttavia, le indicazioni sembrano piuttosto convergenti nell’indicare livelli di disuguaglianza della ricchezza relativamente moderati. Contribuisce a spiegare questo risultato la diffusione della proprietà dell’abitazione di residenza, superiore a quella che si riscontra in numerosi paesi europei, come Regno Unito, Svezia, Francia e Germania, risultando invece inferiore a quella riscontrata in Grecia, Irlanda e Spagna”.

Fine della citazione. Non voglio impancarmi a maestro di alcuno. Fatto sta che i media italiani hanno dato una nuova prova di pessima adesione di massa alla perpetrazione di una pura mistificazione ideologica.  Non potete – spero – immaginare che lo dica per sostenere che la crisi è alle spalle, come dice un Monti inopinatamente diventato berlusconiano nei toni e nelle gaffes. Nemmeno per lisciare il pelo a nostalgie impossibili, o per tirare la volta a chicchessia. Semplicemente perché, a furia di stuprare dati e fatti economici, l’informazione diventa ed è come la politica e anzi peggio.

Tratto da Chicago Blog