Trump e la Siria? Ricordiamoci la Libia di Reagan

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Trump e la Siria? Ricordiamoci la Libia di Reagan

13 Aprile 2017

Vedremo se gli ultimi rottami del comunismo nordcoreano saranno così stupidi da sparare un nuovo missile, con “l’armada” Usa, come l’ha chiamata Trump su Twitter, che ormai gli sta alle calcagna. Ma se anche fosse, e magari gli Usa rispondessero con un’altra sventagliata di missili com’è accaduto in Siria, questo non significa automaticamente che siamo sull’orlo di una escalation tra Stati Uniti, Russia e Cina, destinata a deflagrare nella quarta guerra mondiale, magari lo scontro finale in Ucraina o nel mare cinese meridionale.

Tranquilli che il generino Jared non ha spodestato Trump (e Bannon) in nome di chissà quali occulti poteri, al massimo Kushner sta tessendo la tela ma sempre per conto del Don, e anche i generali che hanno assunto posti di rilievo nell’amministrazione, più che a guerre ottocentesche, pensano agli investimenti nella sicurezza attuale (la portaerei e i cacciatorpedinieri che navigano verso le Coree o le navi impegnate nel Mediterraneo costano). Ma soprattutto Trump non si è trasformato in un Clinton, perché Bill lanciava missili a casaccio pur di stanare l’uccel di bosco Bin Laden, mentre il Don ne ha fatti lanciare una selva, mirata, contro un regime, per dare a Damasco e company un messaggio molto chiaro, l’America è tornata e colpisce ancora. Si chiama politica di potenza.

Del resto solo una parte dei missili sono arrivati a destinazione sulla base siriana, e solo dopo che gli avversari erano stati informati dell’attacco, riducendo al massimo le perdite per Assad. Da questo punto di vista, allora, è più corretto paragonare lo “strike” sulla Siria all’operazione El Dorado Canyon del lontano 1986, quando il presidente Reagan fece bombardare le postazioni di Gheddafi in Libia (allora il “cane pazzo” era lui, Gheddafi, non il generale Mattis), come ritorsione alle bombe dei libici nella discoteca di Berlino Ovest. Non era un “regime change”, l’intenzione era quella di far capire al rais libico che i tempi del democratico Carter erano finiti e che gli Usa avrebbero usato di nuovo la forza per perseguire il proprio interesse nazionale. Dopo anni di frustrazioni, e con un budget che era stato progressivamente tagliato, i militari in quel periodo tornarono a contare qualcosa. 

Anche Trump ha colpito la Siria per far capire che l’era Obama è finita. E se proprio vogliamo restare alla Libia, capitolo che come Italia ci riguarda da vicino, chiediamoci cos’è successo dai tempi di Reagan a oggi. Da quei ruggenti anni ottanta agli anni della incertezza di Obama. Reagan mostrò un volto aggressivo, colpendo duro come avvertimento, e ottenendo sul lungo periodo che il libico Gheddafi, grande foraggiatore del terrorismo europeo negli anni settanta, scendesse a più miti consigli (sarebbe diventato successivamente un interlocutore quasi affidabile per le democrazie occidentali). Obama invece Gheddafi l’ha rovesciato, anzi ha permesso che Francia e Gran Bretagna lo facessero letteralmente fuori, in nome delle sue ingenue e vanagloriose primavere arabe.

Reagan in Libia ottenne la pace. Obama ha fatto un disastro. Qualcosa ci dice che il presidente Trump, in Siria, dopo i missili, potrebbe fare come Reagan, trovare l’accordo con Putin, e magari pure con quell’“animale” di Assad, come lo ha chiamato.