Trump e lo spirito hegeliano della storia
25 Ottobre 2018
di Vito de Luca
Nelle scorse settimane parte dell’assemblea dell’Onu ha riso in faccia a Donald Trump, che si era definito il migliore dei presidenti americani. Una mancanza di rispetto, verso un presidente Usa, mai accaduta in precedenza, da parte dell’Onu (a proposito, sembra che Nikki Haley, l’ex ambasciatrice Usa presso l’Onu, come annunciato dall’emittente televisiva Fox, stia scaldando i motori per candidarsi come vice presidente per le elezioni presidenziali del 2020, in ticket con Trump). Ma se avesse ragione Trump? Difficile, nella Scienza politica, quantificare e qualificare – quindi misurare – la qualità delle policies dei diversi governi, anche per via dei diversi periodi temporali in cui agiscono, in quanto occorrerebbe un’ermeneutica della politica, che allo stato è una categoria dallo scarso valore scientifico. Di sicuro, però, l’ha riconosciuta anche il Financial Times nei giorni scorsi – un giornale per definizione e per antonomasia anti-trumpiano – osservando che Trump ha incarnato meglio e prima di altri lo spirito della storia.
E se non è plausibile che Trump abbia letto Hegel, è però vero che l’attuale presidente Usa è proprio il tipo di statista istintivo descritto dal grande filosofo tedesco, che incarna e accelera forze che egli stesso non comprende del tutto. Gli storici del futuro inoltre non potranno non notare che il 45° inquilino della Casa Bianca, a differenza dei suoi predecessori, ha ammesso il declino americano e ha provato a contrastarlo, usando anche con energia, e una certa ruvidezza, il potere degli Stati Uniti per riscrivere un nuovo ordine mondiale a vantaggio innanzi tutto del Paese (ma che avrà, o dovrebbe avere, una ricaduta positiva per tutto il resto del pianeta), prima che fosse troppo tardi. Trump, va detto, aveva anche anticipato quelle migrazioni di massa, che ora nel continente americano hanno preso forma con la carovana umana che sta per bussare alle porte degli Stati Uniti, la quale si è messa inesorabilmente in cammino, dagli Stati più degradati del Sud America. Insomma, si può essere filo o anti trumpiani, ma nessuno può negare che il tycoon giunto alla massima carica repubblicana degli States, abbia intuito e sfruttato lo iato che intercorre tra le cosiddette élites e le masse americane, rivelandosi più perspicace dei cosiddetti esperti e intellettuali.
Come andrà a finire non si sa, anche perché, tanto per tornare ad Hegel, la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo. Ma l’andamento dell’economia, l’orientamento più conservatore assunto dalla Corte Suprema e la mancanza di un’autentica leadership democratica in grado di poter competere coi repubblicani, metterà la politica americana di fronte a quello che Tomasello chiamava ratchet effect, l’ “effetto a dente d’arresto”, ovvero dinnanzi a quella dimensione in cui una volta compiuto un certo apprendimento e raggiunto un certo artefatto, questo è soggetto solo a modifiche successive, dalle quali non si può più tornare indietro.