Trump facci sognare!

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Trump facci sognare!

08 Novembre 2016

L’America sta per avere un nuovo presidente. Per gli scommettitori, Donald Trump ha già perso. Lo danno 4 a 1, una scommessa rischiosa, anche se ci piacciono le scommesse rischiose. Hillary Clinton invece mostra ottimismo, si aggrappa agli ultimi sondaggi, è in testa da tre a cinque punti a livello nazionale. Ma c’è da fidarsi? L’Occidentale ha fatto endorsement per Trump fin dall’inizio di questa campagna elettorale, quando nessuno, almeno in Italia, pensava che Donald potesse vincere le primarie del Partito Repubblicano. Invece Trump non solo ha stravinto le primarie ma si sta rivelando un avversario implacabile per Clinton. Trump è molto più competitivo del suo predecessore Romney, stando alle ultime rilevazioni su gli early votes, gli elettori già andati a votare.

Se i sondaggi saranno confermati, Hillary Clinton diventerà il nuovo presidente degli Usa, ma sarà un presidente debole, inseguito dagli scandali, che potrebbe generare una crisi costituzionale negli Usa: il presidente di Wall Street, dei poteri forti e delle minoranze, più quella ispanica che gli afroamericani. Il presidente finito nel mirino di Wikileaks e di tutti quelli che in Rete hanno denunciato brogli e malefatte dei Democratici. Ma se la Clinton vale la metà di Obama e Trump vale più di Romney, qualcosa ci dice che la partita non è chiusa, come si affrettano a ripetere quelli che considerano Trump una specie di pericoloso nazistoide.

Dunque Trump aspetta l’onda. L’onda che i sondaggi non riescono a prevedere, ma che se andiamo a guardare, Stato per stato, collegio elettorale per collegio elettorale, potrebbe rivelarsi un’altra, strepitosa sorpresa nella lunga marcia del Don verso la Casa Bianca. In Florida, stato chiave nelle ultime elezioni Usa, Trump e Clinton sono appaiati, Donald ha un +0,2 per cento. Nel New Hampshire, altro stato combattutissimo, Hillary guida con lo 0,6 per cento. In Michigan, che veniva dato come uno degli Stati sicuri per Clinton, dove gli elettori non votano un presidente repubblicano dalla fine degli anni Ottanta, i Democratici sono molto, molto nervosi.

Nel 2012 Obama aveva vinto in Michigan con dieci punti di distacco, a Hillary ne sono rimasti meno della metà: una vittoria di Trump in Michigan squadernerebbe la mappa elettorale, trasformando queste elezioni in un incubo per Hillary: Michigan vuol dire anche Wisconsin, Pennsylvania, Ohio. Detroit, Cleveland, Pittsburgh: è seguendo questa strada che Donald Trump può sbarcare alla Casa Bianca. Gli Stati Uniti nord-orientali, la Regione dei Grandi Laghi, il Midwest, verso il New England, la costa orientale. E’ qui, nella Rust Belt, la “cintura della ruggine”, in quella parte dell’America che negli ultimi decenni è rimasta tramortita dal declino economico, dalla deindustrializzazione, dallo spopolamento e dalla decadenza di grandi centri urbani, che cresce l’onda capace di spingere “The Donald” fin sulle rive del Potomac, a Washington. 

La chiamano “Blue Collar Wave”, noi le chiameremmo tute blu, ma non solo, ceti produttivi, classe media, elettori in prevalenza bianchi, che hanno perso il lavoro dopo aver scoperto la dark side della globalizzazione. Gli analisti ricordano che da quelle parti gli elettori democratici potrebbero fare la differenza, passando con Trump; sono gli stessi elettori che in passato votarono per Reagan e che adesso che non sopportano più Bill e Hillary, i Clinton alfieri di quegli accordi commerciali transnazionali (vedi NAFTA), che Trump, durante tutta la campagna elettorale, ha promesso di spazzare via se entrerà alla Casa Bianca. 

Trump lo ha detto chiaro e tondo anche ai manager della Ford: se le imprese continueranno a delocalizzare in Messico la produzione, lui farà pagare delle tasse così alte per portare le merci negli Usa che nessuno si comprerà più quelle macchine. Miele per le orecchie dei “Blue Collar”, che a Sterling Heights, in Michigan, ieri lo hanno accolto in modo trionfale, “absolute ocean of people”, ha twittato un cronista presente al comizio. 

C’è una parte dell’America che lo ha capito: se vince Hillary, non cambierà niente, le cose resteranno come sono andate fino adesso: i grandi interessi finanziari, il capitalismo che ormai sembra identificarsi solo con l’ingegneria di Wall Street, le elite politico-economiche che a furia di staccarsi bonus, voti e dividendi, in cerca di manodopera, meglio se immigrata, meglio ancora se a poco prezzo (quella che Obama ha chiamato a raccolta, clandestini compresi, per andare a votare), hanno distrutto l’economia americana, con il codazzo dei media al seguito. Il voto per Trump stravolgerebbe lo status quo. Il voto per Trump è un voto per il cambiamento. Quello per Clinton un voto per la conservazione. E l’America forse fa ancora in tempo a cambiare. Trump, facci sognare!