Trump ha capito che gli accordi di Parigi sul clima sono un’assurdità
02 Giugno 2017
Annunciando l’uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima, il presidente Trump ha riaffermato la difesa della sovranità nazionale americana, che rappresenta il cardine della sua agenda di governo. “Sono stato eletto per rappresentare gli interessi dei cittadini di Pittsburgh”, ha detto il Don, “non di quelli di Parigi”, e subito il sindaco di Pittsburgh, indignato, ha twittato che la sua città continuerà a rispettare gli accordi, ribellandosi alle autorità federali. L’indignazione è quindi diventata globale: Trump vuole tornare al carbone oltre che a gas e petrolio, gli Usa sono un Paese inaffidabile come Siria e Nicaragua (le uniche due nazioni che fino adesso non avevano sottoscritto Cop21), il Don fa strame della rivoluzione “green” di Obama e degli appelli di Papa Francesco. “America First”, il celebre slogan trumpista, ridotto ad “America Alone”, l’America rimasta sola, con Francia, Germania, Italia, che tuonano contro il nuovo isolazionismo Usa, dal clima alla Nato passando per gli accordi commerciali.
Il tutto condito dal solito catastrofismo sulla California che sarà presto sommersa dalle acque e da spassose notizie inventate dai media americani, per cui, in seguito a non si sa bene quale legge del contrappasso, la prima abitazione ad essere sommersa dalle acque sarà proprio la residenza estiva del presidente Trump a Mar-a-Lago. Fake news a parte, gli accordi di Parigi entrati in vigore nel 2016 impegnano i Paesi del mondo a ridurre le emissioni di gas serra per rovesciare, sul lungo periodo, il presunto trend del riscaldamento globale. Ma posto che il riscaldamento ci sia davvero di quali dati stiamo parlando precisamente? In un recente studio apparso su Global Policy, rivista della Durham University, si fa notare come l’insieme delle politiche sul clima adottate fino adesso da Stati Uniti, Cina, Europa e resto del mondo, se fosse applicato alla lettera da qui alla fine del secolo, parliamo del 2100, porterebbe a una riduzione media della temperatura globale di 0,17 gradi celsius.
Zero virgola diciassette gradi. Gli sforzi necessari per raggiungere questo obiettivo tutt’altro che ambizioso costerebbero fra i 600 e i 750 miliardi di dollari all’anno con buona pace della lotta alla fame e alla povertà ancora dilaganti in tanti Paesi. La difesa dell’ambiente è un bene irrinunciabile per le società del XXI secolo, ma sostenibilità non è sinonimo di stupidità, al contrario, una società sostenibile è quella che sa calcolare il rapporto tra costi e benefici, tra lavoro, occupazione, investimenti, persi, in cambio di uno 0,17 per cento di riduzione delle temperature spalmato su un secolo. Del resto così come sono sbilanciati i numeri, cioè i dati sulla questione climatica (almeno da quando WikiLeaks rivelò le magagne degli scienziati onusiani), ormai è sbilanciato anche il rapporto tra scienza e politica, o per meglio dire la questione del riscaldamento climatico è diventata sempre più politica e sempre meno scientifica.