Trump: In Afghanistan combattiamo il terrorismo, non esportiamo la democrazia
24 Agosto 2017
Ora i giornaloni lo accusano di aver tradito la promessa elettorale di ritirarsi dall’Afghanistan ma in realtà Trump fa Trump anche con Kabul. In Afghanistan resteremo ancora, dice il Don, per combattere il terrorismo islamico, non per esportare la democrazia. Gli Usa dunque continueranno la “Lunga guerra” iniziata dopo l’11 Settembre 2001 per rovesciare l’Emirato talebano che dava ospitalità a Bin Laden e Al Quaeda, oltre ad aver imposto la sharia e fucilato delle donne in uno stadio di calcio a colpi di kalashnikov alla testa.
In 17 anni di conflitto, gli Stati Uniti in larga parte, ma anche i loro alleati NATO, hanno perso qualche migliaio di uomini e altre migliaia di soldati sono tornati a casa feriti o con disturbi da stress post-traumatico. L’obiettivo secondo gli strateghi di Bush figlio doveva essere appunto “esportare la democrazia” nel Paese islamico e ricostruirlo da zero. L’effetto per adesso sono governi eletti democraticamente ma che non si sono rivelati in grado di controllare il Paese, che resta per metà nelle mani dei Talebani, né di risolvere problemi endemici come la corruzione. Dopo il “cambio di regime” imposto da Bush figlio, sono arrivati i “surge” di Obama, mandare rinforzi fino al massimo dello sforzo bellico, centomila uomini schierati contro i Talebani, ma non riuscire comunque a vincere la guerra.
Con Trump la musica cambia e torna il realismo politico. L’obiettivo non è più il “nation building”, la costruzione di una democrazia di stampo occidentale sul suolo afghano, spiega a chiare lettere il presidente, bensì estirpare il terrorismo islamico. Soprattutto, impedire ad Isis, che sta per essere sfrattata tra Siria e Iraq, di passare armi e bagagli nelle roccaforti già aperte in territorio afghano, dove continuare, magari insieme ad Al Qaeda, e grazie alla copertura dei Talebani, a reclutare ed addestrare “martiri” da usare per gli attacchi in Occidente e nel resto del mondo islamico. Per reclutare anche a distanza le “seconde generazioni” di musulmani in Europa basta internet e qualche imam compiacente, come sappiamo dalle indagini sugli attacchi a Barcellona, ma in ogni caso agli alti ranghi del terrorismo islamico servono paradisi dove sistemarsi ed operare magari con il silenzioso appoggio di questo o quello stato straniero, questa o quella intelligence deviata. Tanto più che proprio in Afghanistan non si combatte solo la “War on terror” ma anche il plurisecolare “Grande Gioco” per il controllo delle rotte della droga, le guerre dell’oppio per intenderci che non sono finite due secoli fa. Oggi l’Afghanistan è uno dei grandi stati produttori di droga nel sistema del narcocapitalismo internazionale.
La novità, se di novità si può parlare per chi ha seguito fin dall’inizio l’avventura politica di Donald Trump, è che vengono messe in soffitta sia l’ideologia dei “neoconservatori” che ha caratterizzato l’ultima presidenza repubblicana, quella di Bush figlio, sia il velleitario idealismo democratico degli omabiani e dei clintoniani, l’illusione naif di creare in vitro delle delle elites occidentalizzate nel mondo musulmano. Per Trump, invece, in Afghanistan l’unico obiettivo è sradicare il terrorismo. Ma c’è un’altra differenza rispetto ai suoi predecessori alla Casa Bianca. E’ finita l’epoca degli assegni in bianco firmati da Washington, dice il Don. Come per il discorso di Riad dei mesi scorsi, quando Trump ha chiesto ai sauditi e alla “NATO araba” un maggiore impegno, anzi, di ‘fare da soli’ in Medio oriente, anche in Afghanistan Trump chiama a rapporto Islamabad, il Pakistan, in teoria alleato degli Usa ma che a suo tempo ospitò – si dice all’oscuro dei governanti pakistani – il nemico pubblico numero di allora, Osama Bin Laden, il capo di Al Quaeda, ucciso durante una operazione delle forze speciali Usa.
Non contento, Trump tira in ballo anche l’India, perché pure il colosso indiano deve fare qualcosa per garantire maggiore stabilità nel quadrante. Fa niente se Islamabad e Delhi continuano a guardarsi in cagnesco per le questioni di frontiera aperte da decenni: magari come in Medio Oriente con la “NATO araba”, o in Siria con la Russia di Putin, anche per India e Pakistan potrebbe sbocciare un inedito fronte ‘comune’ contro il terrorismo (certo parliamo di relazioni diplomatiche usurate da tempo). Intanto talebani, quaedisti, Isis in misura minore e altri insorgenti occupano come abbiamo detto ampie parti del Paese. Una guerra infinita quella al terrore e contro il fondamentalismo islamico in Afghanistan, che il Don non rinuncia a combattere, ma chiamando a raccolta tutti quelli che fino adesso hanno fatto poco e male il proprio dovere.