
Trump insiste e alza il tiro: “Elezioni truccate da Paesi stranieri”. E convoca due deputati del Michigan.

20 Novembre 2020
di Vito de Luca
Oggi pomeriggio il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, incontrerà alla casa Bianca due deputati del parlamento dello Stato del Michingan, il leader della maggioranza al Senato Mike Shirkey e il presidente della Camera Lee Chatfield. I tre si riuniranno, poiché Trump ha chiesto loro sostanzialmente di fare in modo che sia il parlamento locale a nominare i grandi elettori che andranno a comporre, per quanto di competenza del Michigan, il collegio elettorale che dovrà eleggere il nuovo presidente Usa. È una possibilità contemplata dalla costituzione americana, nel caso in cui il voto degli elettori sia considerato controverso.
È inutile girarci intorno, negli Stati Uniti sta accadendo qualcosa di inaudito: da una parte vi è un presidente eletto, il democratico Joe Biden, dall’altra vi è un presidente in carica che più volte al giorno, sui social, denuncia dei brogli elettorali clamorosi. Poi, da una parte il defenestrato Kemp, il capo della sicurezza informatica del voto elettorale, che ha dichiarato le elezioni del 3 novembre come le più sicure della storia recente degli Stati Uniti, dall’altra il capo del team legale di Trump, Rudolph Giuliani, che ha denunciato addirittura delle forze straniere come interferenti nel voto alle presidenziali.
Gli Usa e il mondo intero, però, ora hanno bisogno di verità e chiarezza. Basta guardare ciò che appare nelle tv americane, per dichiarare uno stato di caos emergenziale negli Stati Uniti. Giuliani ieri è apparso con dettagli precisi in una conferenza stampa di circa 90 minuti presso la sede del comitato nazionale repubblicano e ha presentato una serie di circostanze che fanno pensare ad un complotto: teorie che hanno preso piede tra alcuni sostenitori di Trump negli ultimi giorni, ma che nessun giudice dei tribunali americani ha riscontrato. Giuliani ha affermato di possedere dichiarazioni giurate che confermano le accuse di illeciti elettorali che lo staff di Trump va sostenendo da tempo, chiamando in causa forze straniere, così come si parlò di interferenza russa, quando quattro anni fa vinse Trump contro Clinton.
Le ultime accuse sono arrivate quando Trump ha intensificato i suoi sforzi per fare pressione sui legislatori negli stati chiave in cui il suo gruppo sta contestando i risultati. Tanto, appunto, da invitare i due leader parlamentari repubblicani del Michigan, lo stato in cui Trump sta cercando di impedire di certificare il voto, per bypassare quella che finora appare essere la volontà elettorale.
Durante il confronto con la stampa, ieri Giuliani ha detto che «c’è stato un piano per eseguire frodi elettorali nelle grandi città gestite dai democratici, in particolare quelle già note per la corruzione», ha spiegato l’ex sindaco di New York. Poi ha preso dei fogli sostenendo che fossero dichiarazioni giurate di testimoni di frode elettorale. Giuliani ha anche letto una dichiarazione giurata depositata in un caso del Michigan da Jessy Jacob, la quale ha asserito che i dipendenti di Detroit hanno indotto gli elettori a votare per Biden e che i supervisori elettorali l’hanno istruita a precedere e modificare le schede elettorali presso la sede del conteggio dei “voti per assente” della città: insomma, quelli inviati per posta, una modalità ammessa negli Stati Uniti.
Giuliani poi ha proseguito con un’altra affermazione, riguardo ad una consegna, nel mezzo della notte dopo il giorno delle elezioni, di scatole di schede elettorali nella sede del conteggio: diverse dichiarazioni giurate nella causa statale che si sta portando avanti hanno affermato che queste scatole non fossero contrassegnate e sigillate. Inoltre, Giuliani è stato raggiunto, durante la conferenza stampa, da Sidney Powell, un avvocato che ha rappresentato Michael Flynn, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump che si è dichiarato colpevole di aver mentito all’Fbi e che ora sta cercando di ritrattare. Ebbene, Powell ha mandato in onda accuse di interferenza straniera nelle elezioni: secondo Powell, sarebbero state truccate da «soldi comunisti», di Cuba e Cina, attraverso un complotto escogitato da Hugo Chávez, il leader venezuelano morto nel 2013, e il finanziere George Soros.
A questo punto, però, si pone anche la domanda di come un presidente morto da tempo, Chavez, abbia potuto agire. Di chi la ragione, di chi il torto? Può un presidente in carica, gridare ai quattro venti truffe elettorali, se non vi sono prove? E perché la stampa non indaga, è silente? Eccellente, nello scovare la dichiarazione dei redditi di Trump, lascia praticamente scorrere le rivelazioni del presidente in carica. Non le commenta, come se non esistessero. Forse anche per gli Stati Uniti occorrono degli osservatori indipendenti che giudichino la reale situazione? Davvero Trump vuole sovvertire la volontà popolare o invece ha svelato una macchinazione ordita alle sue spalle? Il mondo esige una risposta chiara.