Trump, manifestazioni in tutta America. Chi manovra “Not my president”?
11 Novembre 2016
Cresce la protesta negli Usa dopo l’elezione di Donald Trump, il nuovo presidente americano. Dopo l’incontro con Obama e con i mercati che salutano positivamente la vittoria di Trump, ora il problema sono i manifestanti che si sono raccolti in diverse città degli Usa per gridare “Not My President”.
Le due manifestazioni più imponenti a New York e Chicago. Almeno 30 persone sono state arrestate a Manhattan dove si è svolta la manifestazione più grande. Migliaia di persone si sono riunite a Union Square e hannno poi sfilato verso Midtown fino alla blindatissima Trump Tower sulla Fifth Avenue , dove si trova l’abitazione del nuovo presidente Usa.
Tensione e arresti anche a Columbus Circle, all’ingresso Nord di Central Park, dove si trova il grattacielo del Trump Hotel. La polizia di Portland, in Oregon, ha utilizzato munizioni non letali per disperdere ed arrestare i manifestanti. Il Dipartimento di Polizia di Portland via Twitter ha fatto sapere che “dopo diversi ordini di disperdersi, la polizia ha usato munizioni non letali per effettuare arresti e disperdere la folla”.
Gli agenti di polizia hanno informato la folla che si tratta di una “protesta illegale”, dopo gli ingenti danni materiali. Portland sta vivendo il terzo giorno di manifestazioni dopo la vittoria del repubblicano alle elezioni. Secondo la polizia, a Portland, c’erano circa 1.500 persone.
Raccontano le agenzie che, sotto lo slogan ‘Not my President’, è nato un movimento variegato: dalle ‘donne di Hillary’ ai ‘sanderisti’, passando anche per alcuni repubblicani delusi dal proprio partito . Manifestazioni contro Trump si sono svolte a Los Angeles, Boston, Filadelfia, Chicago, Detroit. E ancora Seattle, Cleveland e San Francisco. Molte di queste sono aree metropolitane su cui la candidata democratica contava di vincere.
L’America continua dunque a essere divisa. Il presidente uscente, Barack Obama, ha invocato una ‘transizione pacifica’ tra le due amministrazioni. Trump, fin dal suo discorso della vittoria, ha parlato della necessità di unire il Paese. Come per il fenomeno “Occupy Wall Street” o per il movimento “Black Lives Matter”, la protesta è dilagata anche grazie ai social media. E’ stata anche aperta una pagina “Not my President” con lo scopo di organizzare un megaraduno il prossimo 20 gennaio a Washington, in occasione dell’Inauguration Day. Un centinaio gli arresti in tutto il Paese.
Proteste davanti alla Trump Tower anche a Chicago, col traffico mandato letteralmente in tilt come a Los Angeles, dove la comunità ispanica ha aderito in massa all’appello di scendere in strada. Una marcia è stata organizzata dagli studenti della storica università di Berkeley, in California, culla del movimento studentesco e pacifista degli anni ’60. Proteste anche nei campus di Santa Barbara, della Temple University, e delle università della Pennsylvania e del Massachusetts.
Un dubbio, anzi più d’uno resta guardando quello che sta succedendo in America. Si tratta di proteste spontanee o eterodirette? E se qualcuno sta tirando i fili dell’odio sociale, chi è questo qualcuno? Nel corso della campagna elettorale sono state denunciate la manovre e la corruzione del Partito Democratico, scoperchiando i metodi dei “liberal” che mandavano truppe cammellate nei comizi di Trump, per scatenare la rissa e poi addossare la parola “violenza” sui trumpisti. Dobbiamo aspettarci di peggio?