Trump, Steve Bannon e la Seconda rivoluzione americana

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Trump, Steve Bannon e la Seconda rivoluzione americana

21 Novembre 2016

L’America non è spaccata come la dipingono il Corriere e Repubblica, per poi scusarsi, come Repubblica, di avere inventato che Trump vuole distruggere la Statua della libertà. In America è in corso una rivoluzione culturale e politica, che si è espressa nella vittoria di Donald Trump, che si è rivolto agli uomini e alla donne dimenticati da una casta di politici, giornalisti e accademici fuori dalla realtà. Contro i sacerdoti del politically correct, della globalizzazione e del gender, l’America ha scelto Steve Bannon, il regista della rivoluzione, una persona che non ha niente a che fare col razzismo e antisemitismo.

Dopo Harvard e dopo Goldman Sachs, Bannon è stato executive chairman di Breitbart News, il sito fondato da Andrew Breitbart, e ha lanciato il tema del superamento dell’ordine internazionale uscito dalla Seconda Guerra mondiale, un tema familiare ai Repubblicani: si pensi a film come Flags of Our Fathers e a Letters from Iwo Jima, di Clint Eastwood, dove si ricorda il patriottismo americano, ma anche quello giapponese, fuori dalla propaganda del Bene contro il Male. Bannon non è un razzista, ma un nazionalista economico.

Per Bannon i «Satana» sono i Cheney, i Bush, come i corrotti Clinton, che assaltano piccoli Paesi come l’Iraq e la Libia, distruggono popoli e Stati, facendo morire soldati americani e spendendo enormi somme di denaro per lasciarsi dietro solo distruzione e caos. Trump e Bannon vogliono accordarsi con la Russia di Putin, che era disposta, come qualcuno aveva capito in Italia, dopo la fine dell’Urss, a collaborare con l’Europa. Trump è il simbolo di una rivoluzione culturale e politica che rompe con la fissa della Guerra Fredda e vuole chiudere le guerre in Medio Oriente.

L’America non è spaccata, e lo dimostra anche  il New York Times, che il 18 novembre ricorda l’infamia dell’internamento nei campi di concentramento di migliaia di americani di origine giapponese. Anche il NYT archivia la Seconda Guerra mondiale e vede solo uomini e donne travolti dalla guerra. Bannon come Trump si oppone al globalismo che riduce alla fame la middle class e gli operai  per creare la middle class in Cina. Trump ha già ottenuto un successo: la Ford non andrà in Messico a produrre il Lincoln Suv, una buona notizia per il nuovo presidente, ossessionato come  Roosevelt dal lavoro, e con il quale l’America sarà protezionista o almeno selettiva, fino a mettere anche dazi, come piacerebbe a Tremonti.

I democratici hanno perso perché si sono chiusi nella bolla della dynasty Clinton, a cui interessano solo banchieri e finanzieri, e ai poveri chiedono di rinunciare anche alla prole, trasformando le donne povere in madri surrogate per dare una famiglia formato Onu ai “Brangelina” del pianeta, il simbolo della globalizzazione. Il Washington Post, da parte sua, chiede a Trump un pass anche per il reverendo Wright, caro a Obama. Wright predicava contro l’America che dà la droga ai disperati e uccide innocenti, fino alla frase incendiaria: «Dio maledica l’America, perché  l’America si è dimenticata di Dio».

Con Trump destra, sinistra, centro sono diventati contenitori vuoti, perché si è rimescolato tutto. Bernie Sanders sosterrà Trump contro le corporation farmaceutiche per una nuova riforma sanitaria. La sinistra, come dice Bannon, ha tradito i lavoratori:  come da noi Renzi, osannato da giornalisti e accademici, marxisti diventati liberali, tutti contenti di licenziare gli operai col Jobs Act, e sempre pronti a strillare per avere più soldi. Il NYT prende posizione con Ross Doutaht, non un accademico di grido, contro il liberalismo post-68, sintetizzato da John Lennon con Imagine. Niente paradiso, né inferno, niente nazioni, niente confini, né fedeltà a niente e a nessuno: i valori dei liberal e dei liberisti democratici. Il NYT ammette la sconfitta.

Ross Doutath pare Marcello Veneziani: sarà un po’ reazionario dirlo, scrive, ma c’è bisogno di «God and Home and Country» per rifondare il mondo perso col liberalismo, che non ha capito che il bene comune non si può sostituire col cosmopolitismo. La rivoluzione di Trump e Bannon non si può ignorare,  il NYT se n’è accorto. Anche l’Italia non potrà ignorarla.