Turchia, Erdogan vince le elezioni in una domenica di sangue

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Turchia, Erdogan vince le elezioni in una domenica di sangue

30 Marzo 2009

Le amministrative di ieri mostrano che la Turchia ha due volti. Uno è quello moderno della democrazia che è tornata a votare lanciando un messaggio di sfiducia ad Erdogan e rafforzando le forze nazionaliste, socialdemocratiche e quelle islamiche ortodosse. L’altro è il volto arcaico, la Turchia profonda e rurale, insanguinata da faide e scontri a sfondo etnico e tribale che hanno lasciato sul campo 6 vite umane e decine di feriti. Un prezzo che una grande democrazia non può permettersi.

L’Akp, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo di Erdogan, arretra di sei punti rispetto alle politiche del 2007. Il premier ha pagato i riflessi della crisi economica internazionale (decine di migliaia i lavorati rimasti per strada mentre il premier assicurava che il Paese sarebbe stato colpito solo di striscio dalla tsunami finanziario), ma anche la sua linea morbida sull’identità islamica dell’Akp (gli ortodossi hanno premiato il partito islamico della Felicità, Saadet, che ha raddoppiato i consensi). A uscire vincente dalle elezioni è il partito nazionalista che guadagna un altro punto percentuale rispetto al 2007. Recuperano una montagna di voti anche i socialdemocratici del Partito Repubblicano.

La provincia di Diyarbakir, un milione e mezzo di persone, resta invece nelle mani dei Curdi. Quando era passato da queste parti in campagna elettorale, Erdogan era stato molto attento a non toccare le corde etniche limitandosi a parlare di crisi economica e dei mezzi che il governo userà per risolverla. Ma non è stato sufficiente. Proprio nel distretto di Lice ieri sono stati ammazzati due uomini per non meglio specificati “diverbi elettorali”, diverbi che hanno fatto almeno altri 4 morti nelle altre province della Turchia sudorientale. Tutta l’area ha vissuto una giornata di fuoco, con scontri, sparatorie e candidati che si prendevano a fucilate e si affrontavano per strada come nel Far West. Più che per questioni ideologiche o lotte tra i partiti, i morti deriverebbero dalle rivalità per conquistarsi la carica di capo-villaggio. Un rigurgito tribale che dovrebbe essere una campanella d’allarme per Erdogan.    

La questione curda ma anche la modernizzazione della parte rurale del Paese restano due spine nel fianco del governo turco. Non sono problemi irrisolvibili e sul lungo periodo non rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale. Cinicamente, si potrebbe dire che le vittime della giornata di ieri sono il prezzo endemico che la Turchia paga per la sua politica di assimilazione forzata della minoranza curda e per lo zoppicante decollo industriale che lasciato indietro le zone interne del Paese. Un prezzo ancora troppo alto per una democrazia che vorrebbe entrare in Europa.