Turchia, il tempo della svolta
25 Luglio 2007
di Efraim Inbar
Il Partito di Giustizia e Sviluppo di centrodestra (AKP), che affonda le proprie radici nell’Islam politico, ha conseguito una notevole vittoria e la rielezione in Parlamento lo scorso 22 luglio. Sotto la guida del Primo Ministro Tayyip Erdogan, l’AKP ha raccolto, secondo risultati non ufficiali, il 46,7 per cento dei voti, 12 per cento in più rispetto al 2002, il che permetterà a questo partito di governare ancora una volta senza formare coalizioni. L’opposizione però si fa sentire, e ciò significa che l’AKP otterrà meno seggi in Parlamento. Resta indicativo il mancato conseguimento della maggioranza dei due terzi in Parlamento, che avrebbe di fatto permesso all’AKP di modificare la costituzione e di scegliere il Presidente anche senza l’appoggio dell’opposizione.
L’opposizione laica di centrosinistra, il Partito Repubblicano del Popolo (CHP), otterrà approssimativamente 112 seggi mentre quasi 70 andranno al Partito d’Azione Nazionalista di destra (MHP). In più, numerosi candidati indipendenti, prevalentemente di etnia curda, faranno il loro ingresso nel Parlamento turco.
Il CHP, gravato da una leadership scadente, rappresenta la tradizione kemalista laica e statista in declino. L’MHP è riuscito questa volta a superare la soglia elettorale del dieci per cento; chiede una politica estera indipendente, meno vincolata all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, ed una posizione più ferma sulla questione curda. Sostanzialmente, la base dell’MHP è molto simile a quella dell’esercito turco.
Il risultato elettorale è stato accolto con disappunto dai partiti d’opposizione, galvanizzati dalle manifestazioni di massa che avevano protestato contro il tentativo dell’AKP di nominare uno dei loro membri come presidente poco prima delle elezioni. Tuttavia, il fronte laico non ha realizzato che l’ascendente dell’AKP sulla politica turca non è casuale, bensì riflette i mutamenti profondi che avvengono nella società.
L’AKP ha raccolto i frutti delle politiche che ha saputo saggiamente condurre. In primo luogo, l’economia turca ha ottenuto ottimi risultati da quando l’AKP è salito al governo nel novembre 2002: durante il suo mandato, l’inflazione è scesa e l’economia ha beneficiato di un tasso di crescita costante con una media annua del 7,3%. Le condizioni di vita sono molto migliorate, crescono le esportazioni e la borsa prospera. In secondo luogo, Erdogan ha portato a termine con successo una delicata manovra politica per scongiurare l’intervento dei militari, che avevano accusato il suo partito di rappresentare una minaccia per le istituzioni laiche del paese. Infine, durante la campagna elettorale Erdogan ha spostato l’asse del partito verso il centro, allontanando i membri appartenenti alla destra religiosa ed introducendo volti nuovi che potessero rivolgersi ad una più ampia platea politica.
Nonostante la chiara vittoria dell’AKP e la probabile continuità che si verificherà nelle decisioni di governo, la stabilità del sistema politico turco è tutt’altro che certa. Numerose questioni di politica interna ed estera hanno il potere di mettere in difficoltà l’esecutivo. Il nuovo Parlamento dovrà eleggere un presidente che sia gradito all’AKP, così come ai partiti d’opposizione ed all’esercito laico; l’incapacità di ottenere tale risultato ha già portato alla crisi costituzionale quest’anno, conducendo il paese alle elezioni. L’AKP potrebbe accettare un presidente laico che dispone di un’autorità ridotta, a favore di maggiori poteri da concedere al Primo Ministro. Chiudere con successo il problema della nomina presidenziale potrebbe porre le basi per l’instaurarsi di un produttivo modus vivendi tra le varie forze politiche turche; contrariamente, il protrarsi dell’impasse politico sarebbe un pessimo presagio per il futuro.
Il nuovo governo dell’AKP dovrà inoltre affrontare la campagna di terrore intrapresa dai separatisti curdi nel sudest della Turchia e nell’Iraq del nord. Recentemente, portavoce turchi hanno prospettato un’eventuale invasione dell’Iraq del nord per spazzare via gli irredentisti curdi. È inoltre da ricordare che la questione curda non è meramente interna al paese, ma presenta notevoli implicazioni per la politica estera: il modo in cui Ankara affronterà l’irredentismo curdo potrebbe creare tensioni nei rapporti con gli Stati Uniti e l’Unione Europea.
Il dibattito riguardante l’ingresso nell’UE, il futuro di Cipro, la gestione della minaccia nucleare iraniana e le politiche energetiche nel bacino del Caspio rappresentano ulteriori sfide per la politica estera turca che richiedono l’intervento immediato del governo, in particolare per le possibili ripercussioni all’interno del paese.
Oltre a tutto ciò, la disputa sull’identità della Turchia non è ancora giunta al termine. Nonostante l’attuale mescolanza di islamisti, ultranazionalisti e laici militanti nel nuovo Parlamento non rifletta in modo adeguato tutte le sfumature di una società ideologicamente molto frammentata, è comunque sufficiente a creare tensioni -in particolar modo se l’AKP tenterà di perseguire un qualsiasi programma di matrice islamica. Il nuovo governo dell’AKP potrebbe trovarsi di fronte ad un’inflessibile opposizione da parte del CHP e dell’MHP, con il tacito assenso dell’esercito turco.
Secondo una previsione più ottimista, la vittoria dell’AKP potrebbe significare che il Demo-Islam o Islam democratico -una sintesi tra l’Islam e la democrazia occidentale moderna – è realmente raggiungibile. In tale senso, l’esito delle elezioni in Turchia rappresenta un segnale sintomatico per il mondo mussulmano e per tutta la comunità internazionale. Solo il tempo indicherà se l’AKP rappresenta un pericolo per la democrazia: sinora ha rispettato le regole e ha vinto due elezioni consecutive – un risultato senza precedenti nella storia politica turca.
Efraim Inbar è docente di Scienza Politica alla Bar-Ilan University ed è direttore del Begin-Sadat (Besa) Center for Strategic Studies.
(Traduzione di Alia K. Nardini)