Turchia: se non cambia niente, cambia tutto

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Turchia: se non cambia niente, cambia tutto

21 Luglio 2007

C’è un buon modo per spiegare le elezioni parlamentari che si svolgeranno in Turchia il 22 luglio: se non ci saranno cambiamenti, ci sarà un terremoto. Vi sembra strano? Ecco il perché.

Cinque anni fa, il Partito per la Giustizia e Sviluppo (AKP) vinse le elezioni in maniera schiacciante. A causa della legge elettorale del paese (un partito deve conseguire almeno il 10 per cento dei voti per ottenere seggi), tutti i partiti rivali dell’AKP tranne uno non ebbero rappresentanti in parlamento. Questo significò che, con solo il 34 per cento dei voti, l’AKP ottenne due terzi dei seggi. Da allora, l’AKP ha governato la Turchia.

Questo ha portato ad un ribaltamento totale di quasi ottanta anni di storia, nel corso dei quali Kemal Ataturk aveva creato una repubblica laica ed i suoi successori l’avevano sostenuta. Il risultato era un paese in grado di conseguire risultati apprezzabili sia nel campo dello sviluppo che nella promozione della democrazia. Ovviamente c’erano alcuni problemi. Negli ultimi cinquant’anni, l’esercito ha tentato quattro volte un colpo di stato per istituire un governo rappresentativo. Ma la Turchia nel complesso racconta una storia di successi, in particolar modo confrontandola con gli altri paesi a maggioranza mussulmana.

Poi si sono verificati notevoli mutamenti sociali. Numerose piccole imprese al centro del paese -chiamate le Tigri dell’Anatolia- sono diventate ricche, dando vita ad una borghesia composta da individui piuttosto tradizionalisti. Inoltre, molti contadini hanno emigrato dalle campagne nelle grandi città. Il gruppo a preferenza religiosa e più socialmente conservatore del paese ha iniziato ad avere consapevolezza del proprio potere, e l’Islam è tornato alla ribalta come fattore politico.

Tutto ciò è stato possibile grazie all’influenza di un gruppo di politici corrotto, animoso ed incompetente, che potrebbe facilmente vincere il primo premio in una competizione internazionale in tali categorie.

Due aneddoti. Quando chiesi ad un amico professore ad Istanbul la sua opinione riguardo ad un primo ministro che aveva ricevuto apprezzamenti all’estero, mi portò sull’orlo di una scogliera che si sporgeva sul Bosforo -la massa d’acqua simile ad un fiume che dal Mar Nero scorre sino al Mediterraneo e divide l’Europa dall’Asia. Mi indicò una collina verdeggiante dall’altra parte dello stretto e disse: “Vedi degli appartamenti laggiù?”

“No” gli risposi, intimorito all’idea di fornire la risposta sbagliata e venire spinto oltre la scogliera.

“Esatto”, mi disse, “e quello è il luogo dove il primo ministro e suo marito avevano promesso di costruire alloggi con il nostro denaro”.

Oppure il mio episodio preferito, quando dopo l’ultima campagna elettorale venne chiesto in tv ad un politico sconfitto del centrodestra perché il suo partito aveva perso. Senza esitazione rispose: “Perché gli elettori sono stupidi”.

Ora, immaginate che il vostro paese venga preso in ostaggio da un partito islamico, diciamo persino islamista, che sembra porre in pericolo tutti i vostri modelli di vita. Cerchereste di impedirlo, vero? Invece, di fronte ad una catastrofe così incombente, per i due partiti del centrodestra è stato impossibile unirsi ed ogni piccola fazione del gruppo ha finito per dividere il voto anti-AKP.

Va compreso che l’AKP è piuttosto differente dagli islamismi dell’Iran o del mondo arabo. Sono piuttosto cauti, ed accettano un grado maggiore di occidentalizzazione e modernizzazione. L’AKP ha intelligentemente evitato di spingersi troppo oltre, troppo in fretta. Ha beneficiato del fatto che la Turchia sta uscendo da una brutta crisi economica. Ha beneficiato di una crescente ventata di antiamericanismo, fomentata più al nazionalismo che all’Islam.

E ha cercato l’ingresso nell’Unione Europea, il Santo Graal della politica turca, il tanto desiderato attestato che sancisce l’ingresso sociale ed economico della Turchia nel country club più alla moda della città. Sfortunatamente, gli europei hanno più volte rimandato questo premio, per una ragione o per l’altra. Nonostante i turchi si stiano stancando dell’inseguimento, non hanno ancora rinunciato. L’AKP ha anche introdotto alcune riforme necessarie, in un sistema dove il governo sembra fare un favore ai cittadini ogni volta che fornisce loro servizi.

Indubbiamente l’AKP ha passato alcuni brutti momenti. Dopo che il governo alzò i limiti di velocità per i treni e vi fu uno spaventoso incidente con numerose vittime, l’AKP disse che l’incidente era accaduto per volontà divina. Quando il primo ministro chiese la criminalizzazione dell’adulterio, l’idea che venne decisamente ridicolizzata.

Per i turchi laici e i sostenitori dello status quo -che avrebbero la maggioranza nel paese se solo riuscissero ad unirsi- l’AKP stava solo fingendo di essere moderato. Era un gruppo di fondamentalisti travestiti da agnelli. Molti di loro si sentirono come si sentirebbe il Senatore Ted Kennedy al pensiero del compianto Jerry Falwell candidato alla presidenza degli Stati Uniti.

Negli ultimi mesi, proprio quando sembrava che l’AKP si stesse sistemando comodamente alla guida del paese, è arrivata la crisi. È stata una sorta di ribellione pacifica tra i laici, fomentata dalla prospettiva che l’AKP scegliesse il presidente della repubblica. Il presidente nomina il capo delle forze armate ed ha influenza sui tribunali e altre istituzioni. Una volta conquistata la presidenza da parte dell’AKP, i laici vedevano tale partito in un cammino diretto ed irreversibile verso il potere totale e permanente.

Ci furono altri segni e portenti. Molte reti televisive e giornalisti turchi si sentivano impauriti. Se l’AKP avesse preso il potere per sempre, avrebbe potuto vendicarsi dei suoi critici. L’autocensura divenne una forza potente. Un giornale turco rifiutò la mia rubrica, mi fu detto, a causa di minacce reali o ipotetiche.

Il prossimo ostacolo sulla via dell’AKP è un altro candidato presidente che è anche un giudice molto rispettato, dalle impeccabili credenziali laiche. Quando il leader dell’AKP fu proposto come presidente, il partito di minoranza in parlamento boicottò il voto, rendendo di fatto impossibile raggiungere una maggioranza di due terzi. Enormi manifestazioni contro l’AKP si tennero regolarmente. Sembrò che avvenisse il miracolo politico e che l’AKP venisse messo alla porta.

Poi si è verificato il consueto caos politico. L’AKP ha fatto una buona campagna elettorale. La sinistra si è unita in un unico partito; il centrodestra si è spaccato ed ogni fazione ha combattuto contro le altre. Le previsioni sono che l’AKP vincerà, forse con una maggioranza ridotta, e dovrà persino entrare in coalizione con un altro partito. E quindi se le elezioni che dovrebbero fermare il processo di islamizzazione non porteranno cambiamenti, ci sarà un vero terremoto.

C’è un altro ostacolo sulla via dell’AKP, ora più lenta ora più rapida, verso una società più islamica e socialmente conservatrice, ed una politica estera maggiormente in sintonia con l’Iran e la Siria piuttosto che con gli Stati Uniti. È l’esercito turco. Ma con le pressioni europee affinché questo abbandoni il proprio ruolo politico, sembra difficile credere che i militari interverranno, a meno che l’AKP non si spinga troppo oltre. E, consapevole di questo, l’AKP sarà prudente. In effetti vi sono molti leader nel partito che preferirebbero una versione mussulmana dei partiti europei cristiano-democratici. Allo stesso tempo, tuttavia, vi sono molti iscritti al partito che sarebbero a loro agio con un orientamento simile a quello del gruppo della Fratellanza Arabo-Mussulmana.

Esiste un punto di non ritorno per la democrazia turca, per il secolarismo e la relativa visione occidentale? Non si è ancora giunti a questo punto. Ma sembra improbabile che le elezioni invertano la rotta del paese, e nemmeno che rallentino il suo passo.

 

 

Barry Rubin è Direttore del Global Research in International Affairs Center (GLORIA), Editore del Middle East Review of International Affairs Journal (MERIA) e dei Turkish Studies.