Tutta la democrazia del Pd è finita con le primarie

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Tutta la democrazia del Pd è finita con le primarie

Tutta la democrazia del Pd è finita con le primarie

01 Novembre 2007

Si è detto con aria trionfalistica che eravamo
dinnanzi ad nuovo partito che vuole disancorarsi dal novecento per volare
leggero verso il futuro della politica italiana ma, a ben vedere, il PD ha
cominciato con il “divorziare” prima dalla grammatica e poi, ma subito, anche
dalla politica. Vediamo perché. La separazione tra il Partito e il concetto di
democratico si è vista fin da subito, cioè appena ripresi dalla folle sbornia
delle primarie. Dopo i proclami in merito all’avvento di una nuova ed inedita
“rivoluzione popolare” che aveva visto tre milioni di italiani- per carità di patria
non disquisiamo sul numero- che si erano sentiti i depositari del futuro del
partito dal basso, si scopre che i coordinatori provinciali e comunali del
Partito saranno nominati dal nazionale. Insomma, si sovverte ogni iter logico
che dovrebbe vedere l’iscritto chiamato a scegliere il livello locale del
partito tanto che ci chiediamo: ha senso il rapporto stretto tra base e
rappresentanza territoriale? In FI la designazione riguarda solo il livello
regionale ma per i provinciali ed i comunali si fanno congressi, si presentano
mozioni, si chiede all’iscritto di scegliere il volto del partito nel suo
territorio. La piramide rovesciata, che vedeva la base al vertice in una
compiuta rivoluzione copernicana dove il popolo sceglie chi lo guida, ha
%0Aritrovato la sua tradizionale postura: il vertice è il vertice e la base è
tornata irrimediabilmente ad essere la base, in questo caso senza diritto né di
voto né di voce.

Democratici, quindi? No davvero. Ma, ed ecco lo
smacco, oltre a perdere il concetto di “democratico” si perde anche quello di
Partito.

Perché questo monstrum?
La risposta è semplice. Un partito, per essere tale, ha bisogno di una sua
identità; la forma del partito si può discutere, ma sulla sostanza ci deve
essere chiarezza. Un tempo avremmo chiamato questa “sostanza” l’ideologia del
partito o le idee forti, oggi scopriamo che questa sostanza gli uomini di
Veltroni la chiamano “etica”. Vabbè, ci sta. Etica viene da ethos, ethos vuol
dire costume, il costume può essere un modus vivendi, un modus vivendi può
essere la sintesi delle idee forti. La domanda è: quali sono le idee forti? Prima
novità: non si tratta di idee ma di persone che insieme disegnano queste idee. Ed
ecco che la lista degli “etici” è servita: Claudio Martini
Governatore della Toscana; Furio Colombo che dell’antiberlusconimso ha fatto un
valore morale;  Gad Lerner giornalista
d’assalto; Luigi Bobba l’uomo delle Acli che, in terra infedelium, ha fatto della cristianità una testimonianza
da catacomba; Matteo Renzi Presidente della Provincia di Firenze.

Siamo certi che se non fosse stato bocciato avremmo
avuto il lista anche l’Assessore Agostino Fragai che, insieme al Presidente Martini,
ha scoperto per primo nel mondo, che gay si nasce. Per inciso è bene dire che siamo
tutti trepidanti di sapere come anche noi mortali possiamo scoprirlo. Fuori, è
evidente, dalla circolo dei “mandarini etici” è rimasta Paola Binetti perché, a
differenza di Bobba e altri ancora, sostiene che sia lecito dire quello che
pensa seppure rispettando il patto di non fare quello che dice.

Non sono dettagli sono segnali che ci dicono due
cose. La prima: dopo l’iperdemocrazia delle primarie arriva il messaggio vero:
zitti tutti, si fanno le cose in casa e godetevi l’opportunità di fare gli
spettatori. Secondo: non siamo un partito, tanto è vero che il livello locale
lo nominiamo, e non ci interessa un bel nulla della nostra identità anche
perché più cose possiamo essere e più elettoralmente possiamo lievitare. Ecco
che si macera ogni identità possibile e credibile.

C’è solo un punto che rende questo percorso
politico degno di nota: si tratta di un aspetto tutto filosofico. Dopo secoli
dove il pensiero mai aveva messo in discussione l’assunto di Parmenide che
“l’essere è e non può non essere e il non essere non è e non può essere” i Veltrones
ci hanno dimostrato che non solo il “non essere è”, ma che ha anche un nome:
Partito Democratico. Con buona pace del grande Parmenide.

 

Stefania Fuscagni è Consigliere Regionale della Toscana di Forza Italia