Tutta la verità sulla ricongiunzione contributiva

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Tutta la verità sulla ricongiunzione contributiva

15 Novembre 2012

Ci risiamo con la ricongiunzione onerosa. Il 13 febbraio fu Milena Gabanelli a lanciare dal Corriere della sera l’anatema contro il «pasticcio» della legge infame. Il 14 novembre, nove mesi più tardi (di gestazione?), ci riprova Maurizio Belpietro. «Pensioni, la grande truffa» fa il titolo alla prima del suo Libero. E spiega che, per colpa dei maledetti «ricongiungimenti trappola», 650mila italiani «devono pagare» migliaia di euro «per poter incassare» l’assegno per cui hanno già pagato i contributi.

Insomma, la storia si ripete. Come per la Gabanelli, ritengo la tesi di Belpietro non del tutto vera, per quanto forte e seducente. A tratti fuorviante. Rispetto a nove mesi fa, però, oggi c’è un sospetto a spaventarmi: tra esodati da salvaguardare e trombati della ricongiunzione da salvare, qui con un’eleganza democristiana stanno continuando a ipotecare il futuro dei giovani annullando, voce per voce, gli effetti delle riforme sui lavoratori più anziani.

La questione riguarda la cosiddetta ricongiunzione contributiva. Si tratta di una facoltà introdotta ai tempi delle vacche grasse (legge n. 29 del 1979) che permette di unificare (cioè “ricongiungere”) i contributi versati in diverse gestioni (Inpdap, Inps, ecc.) presso un’unica gestione al fine di ottenere un’unica pensione. Tipico esempio è quello dell’impiegato statale (iscritto all’Inpdap) poi passato a lavorare nel privato (con iscrizione all’Inps): con la ricongiunzione, egli può trasferire nell’Inps i contributi pagati all’Inpdap, cosicché l’Inps liquida un’unica pensione.

La facoltà è stata sempre gratuita per i lavoratori dipendenti e a pagamento (onerosa) per quelli autonomi; altri lavoratori (quelli a progetto, le co.co.pro., le partite Iva) non ne hanno mai goduto. Dal 1° luglio 2010 le cose sono cambiate. La legge n. 122/2010 ha stabilito che, chi fruisce della ricongiunzione, dipendente o autonomo che sia, deve pagarsi quel trasferimento di contributi. In questo modo, dunque, per lo meno di fronte alla ricongiunzione, sono state equiparate le posizioni di tutti i lavoratori (dipendenti e autonomi). L’imposizione dell’onere, ha spiegato il ministero del lavoro (nota protocollo n. 5372/2012), risponde a criteri di equità tra diverse categorie di lavoratori. Equiparare lavoratori dipendenti e autonomi è stata una scelta imparziale? Va bene, se ne discuta. Ma urlare alla “grande truffa”, francamente, mi sembra troppo.

Ma perché sarebbe una “grande truffa”? Il Direttore di Libero lo spiega con le storie dei Lettori. Scrive: c’è chi «per ritirarsi e avere l’ambito assegno deve prima sganciare 70 mila euro»; c’è chi «per potersi godere la pensione deve versare 202 mila euro in unica soluzione o 300 mila in comode rate» (è vero che l’Inps ha bisogno di denari, ma la rateazione con il 50% di interessi mi sembra esagerato!); c’è chi «si sente richiedere 100 mila euro per lasciare il posto». Tutte frasi suggestive, ma al limite del vero. Quindi la stoccata finale: «Noi non abbiamo il potere di un ministro, ma per quanto ci riguarda continueremo a occuparci delle migliaia di persone che devono pagare il riscatto allo Stato per ottenere la propria pensione». Sono frasi suggestive, ripeto, ma al limite del vero perché danno per scontato che quella cifra sia il prezzo inevitabile che i lavoratori/Lettori devono pagare per “andare in pensione”. In questo modo inducendo Chi legge all’errata conclusione che la legge n. 122/2010 abbia vincolato a questa sorta di tassa (il Corriere la chiamava “pizzo”, Libero “riscatto”), il “diritto” alla pensione. Invece non è così.

Non è vero, cioè, che la legge n. 122/2010 ha vincolato il “diritto” alla pensione: ha semplicemente chiuso il rubinetto degli incentivi statali, come ha fatto con tante altre categorie di soggetti. Non è vero cioè che quei lavoratori/Lettori, se non pagano quei soldi, non possono «ritirarsi», non possono «godere la pensione» o «lasciare il posto». Infatti, a loro resta un’altra via che si chiama “totalizzazione”, con cui possono comunque sommare lo spezzone contributivo Inpdap a quello Inps senza sborsare un euro! L’unica differenza – sicuramente non di poco conto – è che, mentre con la ricongiunzione la pensione è calcolata con il criterio “retributivo” (più generoso), con la totalizzazione la pensione è calcolata con il criterio “contributivo” (meno generoso): lo stesso e “unico” criterio di calcolo delle pensioni dei giovani, di chi cioè ha cominciato a lavorare dal 1996.

Insomma, utilizzando la totalizzazione invece della ricongiunzione, i lavoratori/Lettori ci perdono ricevendo una pensione più bassa (la stessa, a parità di anni di lavoro, del giovane di oggi). Scusate: ma quando a me più giovane, già al lavoro da 15 anni, viene allungata l’età pensionabile di cinque anni, non risulta ugualmente “ridotta” la pensione visto che la prenderà per meno anni? Capisco le situazioni personali e condivido gli stati d’animo che ne stanno dietro. Ma si deve convenire che è questa una delle alternative per finanziarie le riforme (per trovare soldi): dietro, infatti, ci sta il problema della sostenibilità del sistema previdenza. Un problema che risparmia nessuno: i vecchi e i giovani; i pensionati e i lavoratori. È con questa sostenibilità, e con i freddi numeri rappresentativi, che bisogna fare i conti per valutare l’equità o meno di certe prerogative, perché è soltanto in questo modo che si tengono conto delle aspettative (diritti?) di tutti i soggetti coinvolti: dei pensionati e dei lavoratori che quelle pensioni finanziano con il lavoro (i giovani).

La scelta alternativa all’onerosità della ricongiunzione è quella di scaricare sul futuro, su chi ci sarà dopo, i costi insostenibili di scelte del passato: ma perché quando si tratta di fare sacrifici devono farsene carico essere sempre e solo le giovani generazioni? Il merito della legge n. 122/2010 è stato proprio l’aver fatto ricadere anche sulle vecchie generazioni – certo una parte soltanto di esse (e perché non si colpisce l’altra parte più fortunata?) – il costo di una riforma. Perciò, se si dovesse trovare una soluzione che ristabilisca il diritto alla ricongiunzione gratuita senza troppo penalizzare le giovani generazioni, sarò il primo a rallegrarmene. Intanto teniamo a mente che carpent tua poma nepotes.