Tutte le ipocrisie di architetti e ambientalisti messi insieme

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Tutte le ipocrisie di architetti e ambientalisti messi insieme

15 Giugno 2008

A Los Angeles fa discutere un distributore di benzina, realizzato in un importante incrocio dell’west side, Robertson e Olympic Blvd. Opera dello studio Office dA in collaborazione con Johnston Marklee, l’Helios House – questo il pomposo nome del distributore -, non lontano dal celeberrimo chiosco a forma di Hot Dog, è perfettamente in linea con la tradizione pop angelena, per l’occasione in formato high-tech. Quale insegna usa la pensilina della fermata degli autobus e due billboards (quei giganteschi pannelli pubblicitari che svettano su tutta la città, un’altra caratteristica di Los Angeles) uno al confine dell’area e l’altro proprio sopra la pensilina.

Formalmente rimanda agli anfratti di una grotta e a quelle formazioni cristalline che tanto affascinavano Richard Buckminster Fuller, grandi strutture realizzate attraverso piccole strutture di base (triangoli, esagoni, ottagoni). In termini linguistici rompe con la tradizione delle pensiline, tanto anonime quanto squallide, che infestano il paesaggio di ogni angolo del pianeta.

 

Il rivestimento, 1653 pannelli in acciaio inox riciclato, è stato realizzato con l’ausilio di CATIA il software creato per disegnare aerei da combattimento e reso famoso da Frank O. Gehry. Il software – che è ingrado di far interagire direttamente il progettista con i robots delle ditte costruttrici, senza l’ausilio del supporto cartaceo, – ha consentito il preassemblaggio fuori sito di 52 componenti trasportabili e il loro assemblaggio finale in loco in quattro settimane. Una metodologia che l’industria automobilistica sta utilizzando da tempo per sostituire l’ormai anacronistica produzione massificata con la personalizzazione di massa.

 

Opera architettonicamente interessante dunque, ma inficiata dall’ideologia che l’ha ispirata. Passerà alla storia come un monumento all’ipocrisia ambientalista. Perché?

 

Iniziamo dalla committenza. La BP, che dal 2000 non significa più British Petroleum ma, più politically correct, Beyond Petroleum. Questa compagnia petrolifera è in prima fila nel tentativo di rifarsi una verginità ambientalista. E’ entrata nelle grazie della lobby verde grazie alla sua campagna a sostegno del famigerato trattato di Kyoto. Ora, per rafforzare l’immagine mediatica gioca la carta dell’architettura. Ma sotto l’abito scintillante la sostanza non cambia: la BP non a caso è sotto accusa per aver inondato nel 2006 la tundra dell’Alaska, con 270.000 galloni (oltre un milione di litri) di petrolio.

 

Il progetto. Nulla da eccepire sulla qualità del progetto e tanto meno sulla realizzazione, impeccabile. La “pensilina” copre tutte le pompe ed è dotata di 90 pannelli solari che forniscono energia elettrica. La riflessività dell’acciaio inox consente di ridurre la richiesta di luce elettrica. L’illuminazione, regolata 24 ore al giorno da sensori, è in lampade LED (a basso consumo).

 

Il calcestruzzo della pavimentazione è un misto di cemento e, in sostituzione della sabbia, vetro riciclato.

 

I bagni sono in versione lusso, con tanto di musica a scelta. Le piastrelle sono in vetro riciclato e il flusso dell’acqua è regolato su due intensità. Sul tetto un giardino con piante indigene.

 

In questo distributore non si vendono sigarette e biglietti della lotteria e ci sono i contenitori per il riciclaggio di carta, bottiglie, lattine e persino cellulari, che vengono consegnati alle organizzazioni di beneficienza che si occupano di riciclaggio. Strano che nessuno abbia ancora proposto la canonizzazione dei dirigenti della BP, come negargli un posto accanto a S. Francesco d’Assisi?

 

É un self-service ma il personale è lí pronto a spiegare agli automobilisti quanto è bello fare il pieno di benzina in una simile struttura e quanto la compagnia petrolifera si preoccupi dell’ambiente.
Un edificio realizzato con tutti i crismi della sostenibilità chic, del riciclaggio schic, dell’anti-spreco chic. L’unico spreco che si son dimenticati di tagliare è quello economico: il distributore sarebbe costato qualcosa come 6 milioni di dollari, circa 5 mila dollari al metro quadrato. E poi ci si lamenta del fatto che questa “filosofia” non faccia presa sul grosso pubblico.

 

Che gli architetti contemporanei si prestino ormai alle più disgustose operazioni propagandistiche non ci scandalizza più. Scriveva Leonardo Ricci “Dobbiamo riconoscere che le ultime rivoluzioni non hanno portato ad una società nuova, quindi ad un’architettura nuova. Tutte, sono state subito tradite. Gli architetti sono stati fra i traditori.” Una fama ben meritata