Tutte le strade che portano a Roma passano per Bruxelles

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Tutte le strade che portano a Roma passano per Bruxelles

15 Settembre 2016

Partiamo da un dato di fatto ormai assodato del panorama politico nazionale: l’Europa negli ultimi anni è divenuta un tema sempre più dirimente nel dibattito politico interno, dai valori fondatori alle politiche da perseguire dentro e fuori la Ue. Dall’essere un dibattito di nicchia sulla politica internazionale, proprietà esclusiva di docenti, diplomatici e funzionari, è diventata uno dei piatti forti del dibattito interno, capace di muovere milioni di voti. Già prima del 2008-2009 era evidente che, di lì a non molto, anche il commerciante, il pensionato o lo studente avrebbero preso posizione sulle politiche di Bruxelles e sulla convenienza o meno dell’Italia a rimanere nell’Unione. L’incomprensione all’epoca fu quasi totale, soprattutto nel panorama del centrodestra. Bruxelles era distante e Roma, si credeva, vicina. La scarsa propensione del Pdl a trattare i temi europei, salvo pochissime eccezioni, rifletteva la ritrosia berlusconiana nei confronti di un’Europa dove il premier, nonostante il peso politico nel Partito Popolare Europeo, non riusciva ad emergere come protagonista, al contrario dei viaggi gaudenti a Mosca e a Washington.

Inoltre la lunga tradizione di radicamento del centrosinistra nelle istituzioni europee (si pensi del resto alla leggerezza con cui il Pdl sostenne Prodi come presidente della Commissione pur di rimuoverlo dalla scena italiana) rendevano Bruxelles inospitale per la destra nostrana. Caso volle che fu proprio il sorriso sardonico di due colleghi del PPE, Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, a mettere in difficoltà l’immagine del governo Berlusconi nel 2011 e le pressioni di Bruxelles a determinarne la caduta. Dal governo Monti inizia una nuova fase del centrodestra italiano, che inizia a subire la politica europea come un corpo estraneo, a cui non riesce ad abituarsi. Più il dibattito nazionale vira su temi europei, più il centrodestra si ritrova in difficoltà: riforme istituzionali della governance dell’Unione, intelligence europea, revisione della politica monetaria, difesa comune. Quello che fu il Pdl balbetta e si divide su questi temi per l’incapacità culturale, dimostrata nel corso degli anni, di spostarsi al di fuori dei patri confini. Mancano a questo punto le persone di contatto a Bruxelles, nonostante lodevoli eccezioni, ma fatto ancor più grave manca un’idea precisa di cosa si voglia dall’ Europa e di come funzioni la politica europea.

Non deve sorprendere quindi, alla fine di questa parabola, che il centrodestra italiano finisca per spaccarsi proprio sull’Europa, tra “moderati” o “popolari” e “lepenisti”. La mancanza di approfondimenti sul tema, di dibattiti e di prospettive non fa che rimandare un redde rationem che ormai, oggi, sembra inevitabile. Paradossalmente è proprio lo schieramento moderato ad essere più in confusione. Se infatti Lega e in parte FdI hanno ormai una propria linea radicata, almeno per il momento, che sostiene l’uscita dall’euro e un allentamento dei vincoli comunitari in tema di bilancio (due cose in perfetta sintonia), potendo vantare un solido benché discutibile pantheon di intellettuali a sostegno di questa tesi, il resto del centrodestra è ondivago e non sa a quale lido approdare.

La difesa dell’ euro non è convinta e quindi nemmeno convincente, il dibattito epocale di questi mesi per la creazione di un esercito unico non scalfisce minimamente, la difesa del trattato di Schengen che garantisce la libera circolazione merita tutt’al più un’alzata di spalle, argomento complesso di cui si devono valutare pro e contro. Insomma un’ignavia figlia di una mancanza di un vero approfondimento politico su questi temi. A quest’indifferenza della politica non corrisponde però un’indifferenza degli elettori, che colgono sempre più la connessione tra le crisi (economia, immigrazione, terrorismo, tensioni nell’est Europa) e le politiche europee. Il popolo dell’alzata di spalle va riducendosi e così i consensi per chi non sa dare delle risposte soddisfacenti ai macrotemi del momento.

Ogni silenzio è un occasione persa. Più che di uno scontro tra euroscettici ed euroentusiasti, facile in questo caso dire che si sta nel mezzo, dovrebbe nascere un dibattito tra chi crede che le risposte passino da Bruxelles e chi crede che invece si debba tornare ad una nuova centralità delle istituzioni nazionali (complicata, nel caso dei “lepenisti” italiani, dalle differenze storiche e politiche che esistono tra forze come la Lega Nord e Fratelli d’Italia, con la prima che non riesce a sfondare nel Mezzogiorno). Queste due posizioni, che, se motivate, hanno radici profonde, possono dirci molto di più sul centrodestra che tutte le discussioni sterili sulla leadership a cui stiamo assistendo.

“Tratto da Perimetro aperto” (http://www.perimetroaperto.it/)