Tutti alla fiera delle riforme ma attenzione alle previsioni del tempo
07 Aprile 2010
Sta per ripartire la fiera della riforme, i partiti sono pronti ad innalzare i loro gran pavese di proposte, accendere le luminarie di modelli e aprire i banchetti di delizie costituzionali. Quest’anno sembra andare di moda il semi-presidenzialismo in salsa francese: è leggero e non impegna. Con tre palle e un soldo potete partecipare tutti.
Insomma ci risiamo. I giornali toglieranno la polvere dai loro esperti costituzionalisti chiusi da mesi negli armadi delle redazioni e li rimetteranno a lavoro. Aspettiamo il ritorno in scena del professor Sartori e di tutta l’allegra combriccola. I politici faranno la voce grossa, metteranno paletti, detteranno condizioni, apriranno tavoli di consultazione e giri d’orizzonte. Tutto materiale buono per riempire le pagine estive dei giornali da ombrellone.
Niente in contrario per carità. Anzi va benissimo che Berlusconi abbia fatto contenti Bossi e Calderoli affidandogli l’inaugurazione delle festività riformiste: hanno il fisique di role e la voce grossa dei bravi banditori.
Qui all’Occidentale però non abbiamo tanta voglia di partecipare a questa fiera, ma qualcosa prima che apra i battenti e si taglino i nastri la vorremo dire. Non tanto per capire se ci piaccia di più la Franza o la Spagna ma per sollevare qualche piccola questione di buon senso.
Gli ultimi due decenni ci hanno dimostrato che i sistemi politici hanno una loro forza inerzia che è difficile mutare a tavolino con gli strumenti dell’ingegneria costituzionale. Sono piuttosto i cittadini con i loro orientamenti, la politica con le sue battaglie, il discorso pubblico diffuso, le tendenze delle elites, insomma il fuoco vivo dell’azione, a forgiare poco a poco l’evoluzione istituzionale (in questo senso Berlusconi ha una buona intuizione quando parla di consultare la gente, di sentire l’aria che tira, anche se ciò infastidisce Fini e i finiani).
Non sono state grandi riforme a condurre l’Italia sul cammino ancora incompiuto ma ormai saldo del bipolarismo o ad avvicinarla a sistemi di maggiore caratura presidenzialista. Sono stati “accidenti della storia” come i referendum di Mariotto Segni, Tangentopoli il crollo del muro di Berlino o la scesa in campo di Silvio Berlusconi. Nessuna “Grande Riforma” neppure la più condivisa o la più impeccabile in dottrina avrebbe potuto mutare il paese così profondamente come è stato in virtù di quegli eventi.
Bisogna tenere presente tutto questo ora che in partiti – con diverse diposizioni d’animo e mutevoli appetiti di potere – si preparano ad un nuovo banchetto istituzionale. Certo le riforme servono e anche molto, ma devono saper incoraggiare i mutamenti già in atto, interpretare l’evoluzione naturale delle cose, cogliere il comune sentire dei cittadini, la materiale traduzione delle regole in vigore nella vita di tutti i giorni. Se si pensa di schiacciare tutto questo sotto il peso del nuovo tomo delle Riforme 2010, non si potrà che produrre una reazione di rigetto o al meglio un nulla di fatto.
Ormai da anni in Italia il presidenzialismo è un fenomeno in atto e lo è più nei fatti che nei testi legislativi. L’elezione diretta del premier che agli occhi dei giureconsulti non ha esistenza nei codici, esiste eccome nelle abitudini e nelle scelte degli elettori. Lo stesso dicasi per il bipolarismo, nonostante i tentativi di sabotaggio di Casini o le boutade del neogovernatore Zaia quando sostiene che con il risultato delle regionali “il bipolarismo è morto”. Sarà morto in Veneto, ma è come se la Csu tedesca dicesse che il bipolarismo è morto perché stravince in Baviera.
Adesso che si riprende a parlare di presidenzialismo, lo si faccia chiarendo che non stratta di trapiantare sistemi esogeni ed esotici nel nostro orticello nazionale ma semplicemente di meglio regolare una tendenza già in presente e già digerita nella sostanza che è quella di avvicinare potere esecutivo e sovranità popolare.
Lo stesso vale per il bipolarismo. Si è visto come sono falliti i vari laboratori “centristi” come quello pugliese. Se si resta troppo nei laboratori alla fine le misture esplodono. Se si spalancano le finestre e si annusa l’aria si capisce che la gente ormai o sta di qua o sta di la (per ora più di qua).
E’ con queste realtà che i tentativi di riforma, se sono seri, dovranno misurarsi. Se asseconderanno queste tendenze, questi modi di sentire, con lo "spirito del tempo", avranno successo; se invece pretenderanno di raddrizzare il legno storto del sistema politico italiano con travi e tralicci, saranno spazzati via da un bell’acquazzone.