Tutti gli sprechi che condannano la giustizia italiana
24 Gennaio 2008
“Escludere l’avvocatura dalle inaugurazioni dell’anno giudiziario in cui si traccia un bilancio dei dodici mesi precedenti equivale a certificare un falso”. Dopo avere assistito alla prima inaugurazione di un anno giudiziario curata dalle Camere penali italiane ora sappiamo anche il perché. La dura frase di esordio, per la cronaca, è dell’avvocato Giandomenico Caiazza, che delle Camere penali di Roma è il segretario pro tempore.
Dietro a questa affermazione ci sono tutti quei dati che nelle pompose cerimonie in Cassazione (proprio venerdì 25 ci sarà quella nazionale mentre il giorno dopo quelle dei 120 distretti di corte d’appello presenti in Italia) non emergono mai. Così come non emergono nelle successive inaugurazioni curate dai presidenti delle corti d’appello delle principali città italiane.
Non meno duro è stato il saluto del presidente delle camere penali italiane Oreste Dominioni che non ha risparmiato stoccate per l’ex ministro Guardasigilli ora caduto in disgrazia: “Nel suo progetto di riforma che doveva leggere il giorno che invece ha dovuto parlare di sua moglie e dell’inchiesta che lo riguarda erano contenuti assurdi riferimenti alla certezza della pena che si traducevano in inasprimenti della carcerazione preventiva”. Commento dei presenti nell’aula magna della corte d’appello civile di Roma: “Già, la legge del contrappasso”.
E quali sono questi “dati nascosti”?
Ad esempio che in una città come Roma si spendono 8 milioni di euro per pagare i depositi giudiziari delle auto e dei motorini rubati o abbandonati, mentre le toghe si lamentano della mancanza persino delle risme di carta per scrivere le sentenze.
O che a Bologna un processo medio dura dieci anni e sei mesi di cui otto anni sono di “tempi morti” in cui un fascicolo aspetta di essere portato da un piano all’altro. O che a Catanzaro, patria giuridica di magistrati molto esposti mediaticamente come Luigi De Magistris, gli errori giudiziari risarciti ogni anno sono circa duecento.
O che a Milano i giudici si sentono “depressi” (hanno mandato una lettera a Mastella per questo,ndr) per il fatto che, dopo l’approvazione dell’indulto, sono costretti a emettere sentenze per pene che non verranno applicate. Come se il loro compito istituzionale, foriero di soddisfazione professionale, fosse quello di constatare che il carcere sia la giusta ricompensa per l’imputato, e non semplicemente l’accertamento della verità dei fatti.
Contro tendenza anche i dati sulla legge Gozzini così come snocciolati dal vicedirettore del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), il magistrato Emilio Di Somma, il quale praticamente dice che la legge Gozzini se non ci fosse la si dovrebbe inventare perché è solo grazie a essa che si riesce a ridurre dell’80% il grado di recidività dei delinquenti. E quindi a produrre in definitiva più sicurezza per la società. E che anzi questa legge è “troppo poco applicata dai giudici di sorveglianza” che non avendo i mezzi di valutazione e avendo paura di finire in prima pagina (perché qualcuno magari la combina grossa) nel dubbio rigettano l’80% delle istanze di pene alternative alla galera. E il restante 20%? Ha un grado di recidività inferiore all’1%, laddove quelli che si fanno in carcere l’intera pena tornano a delinquere con percentuali che sfiorano il 70%.
Ma la vera ciliegina sulla torta di questa specie di contro inaugurazione dell’anno giudiziario l’ha portata un altro magistrato, il genialoide capo dei Gip di Cremona, Pier Paolo Beluzzi. Uno che da solo ha informatizzato tutti i fascicoli processuali della sua città (insieme al proprio autista che gli fa da braccio) e che adesso ha esportato il suo metodo anche a Brescia e a Milano mentre il ministero di via Arenula negli anni ha fatto di tutto solo per mettergli i bastoni tra le ruote.
A scanso di equivoci il metodo, che si chiama “Digit” è completamente gratis per la pubblica amministrazione e non nasconde brevetti o altri interessi. E’ il semplice uovo di Colombo di scannerizzare in pdf tutte le pagine delle sentenze che con una postazione base e un lavoratore all’uopo impiegato permette di andare a ritmi di oltre duemila pagine al giorno. Il che significa che con quattro persone per distretto di corte d’appello si risolverebbero in pochissimi mesi tutti i problemi di arretrato, innestando un circolo virtuoso che costa un decimo dei soliti addetti messi alle fotocopie a sfornare tonnellate di carte per mesi interi.
Oltretutto, a Cremona hanno impiegato i detenuti a fare il lavoro socialmente utile di scannerizzare le sentenze e gli atti, incrementando in maniera fattiva il loro reinserimento nella società. %3Cbr />
Recentemente era finito sui giornali il caso dei difensori degli imputati per pedofilia di Rignano Flaminio; questi hanno clamorosamente rinunciato a prendere visione degli atti a loro carico dato il costo proibitivo per diritti processuali nell’ordine dei 20 mila euro a cranio.
Ebbene a Brescia, con il semplice metodo del Gip Beluzzi, è stato informatizzato tutto il lavoro della nuova istruttoria per la strage di piazza della Loggia del 1974: qualcosa come 930 mila pagine di atti processuali che i difensori adesso potranno prendere in visione su tre semplici dvd rom da 25 giga l’uno pagando soltanto i 250 euro a dvd previsti dalle nuove tariffe fiscali. A fronte di costi per diritti processuali superiori ai 40 mila euro se questi atti fossero stati fotocopiati con i metodi tradizionali. Inutile dire che questo metodo potrebbe essere utilizzato anche per la giustizia civile che è la vera malata incurabile dell’intero sistema.
Ma questo gip Beluzzi non è solo un genio organizzativo incompreso, bensì anche un magistrato che corre il rischio di venire azzoppato dalla propria stessa casta per la dose eccessiva di onestà intellettuale che dimostra nelle proprie relazioni pubbliche. Ad esempio, ha raccontato un aneddoto sulla reazione di un suo collega pm dopo che lo aveva al corrente del metodo ‘Digit’: “Già bravo, ma così le parti conosceranno gli atti come li conosco io che ci lavoro da due anni e per me sarà più difficile vincere le cause”. Chiara l’antifona?
I magistrati che prosperano sotto il corporativismo dell’Anm e la politicizzazione del Csm, hanno come unico scopo, non l’accertamento dei fatti, ma il vincere le cause anche a costo di mandare in carcere un innocente.
Un’ultima notazione sempre a proposito dei bastoni tra le ruote che sinora ha incontrato il progetto ‘Digit’ del gip Beluzzi a livello ministeriale: i calcoli a braccio dei costi per riorganizzare tutti i fascicoli in maniera informatica parlano di cifre infinitamente inferiori a quelle suggerite nei folli metodi studiati da Mastella per sveltire le pratiche magari abolendo il giudizio di appello (pur sapendo che il 51% delle sentenze viene riformate in tutto o in parte nel secondo grado) o comprimendo le garanzie processuali degli imputati.
Per fare quell’enorme mole di lavoro per il processo della strage di piazza della Loggia sono stati spesi solo 45 mila euro ma il ministero non ci ha voluto mettere una lira. E allora il gip di Cremona e il pm di Brescia Giancarlo Tarquini, d’accordo con le parti e gli imputati, hanno optato per una sponsorizzazione istituzionale da parte della provincia di Brescia, della Regione Lombardia e del comune di Brescia.
Con 15 mila euro a testa hanno fatto risparmiare tanti soldi anche allo stato che se ci avesse dovuto mettere degli addetti a fotocopiare tutte quelle pagine avrebbe dovuto impiegare non meno di sei persone, sei macchine e sei mesi di lavoro. Così ora imputati e parti civili di quel processo hanno dei dischetti con sopra impresso il logo delle tre istituzioni pubbliche che ci hanno messo i soldi. Finirà che per farla funzionare tutta la giustizia in Italia dovrà essere sponsorizzata da qualche ente. Magari anche privato.
Infine, a proposito delle omissioni nelle relazioni inaugurali dell’anno giudiziario, sarà solo un caso che, nei rispettivi distretti di corte d’appello, mancano sempre i dati sui risarcimenti per le ingiuste detenzioni? A Catanzaro, terra di inchieste su veline e personaggi dello spettacolo, nei tre anni passati la media si è attestata sui 200 risarcimenti accordati all%E2