Tutti gli uomini (e le donne) del presidente
19 Novembre 2008
La sigla più in voga in questo periodo a Washington? FOB, “Friends of Barack”. Non tutti gli amici del presidente-eletto avranno un incarico di governo, ma è bene tenerne a mente i nomi, perché è a loro che Obama si rivolgerà nei momenti cruciali del suo mandato. Il posto numero uno nella “O-List” spetta ad una donna: Valerie Jarrett. La sua amicizia con l’ormai ex senatore dell’Illinois e la moglie risale al 1990, anno in cui offrì un posto di lavoro a Michelle nell’amministrazione del sindaco di Chicago, Richard M. Daley. La 52.enne Jarrett è stata nominata senior adviser del futuro governo, ruolo rivestito negli anni di Bush da Karl Rove. Altre due donne obamiane di cui sentiremo parlare nei prossimi anni: l’economista Karen Kornbluh, del centro studi “New America Foundation”, e l’esperta di politica estera Susan Rice. Entrambe hanno meno di 50 anni ed hanno lavorato nell’amministrazione Clinton.
Con Obama approderanno, quasi sicuramente, alla Casa Bianca anche gli architetti della sua vittoria: David Axelrod e David Plouffe. Il primo, 53 anni, già reporter del Chicago Tribune, è stato il “chief strategist” della campagna elettorale di Obama. Il secondo, appena 41enne, ha iniziato a lavorare in politica nel 1990 contribuendo alla rielezione del senatore dell’Iowa, Tom Harkin. Per Obama, durante le primarie, ha impostato una strategia di conquista dei caucus (a partire da quelli in Iowa) che alla lunga si è dimostrata vincente. Hillary Clinton ancora si morde le mani. Conterà molto nel “Team Obama” anche un altro golden boy: il 37enne Robert Gibbs, portavoce di Obama sin dalla campagna del 2004 per il seggio senatoriale. Non meno significativo sarà il ruolo di Pete Rouse capo dello staff di Obama in Senato ed ora suo senior adviser. Alla Casa Bianca, tuttavia, il capo dello staff sarà, come è noto, il deputato dell’Illinois, Rahm Emanuel, che combina le sue radici di Chicago con una navigata esperienza nei corridoi del potere a Washington.
Intanto, prosegue a ritmi accelerati la definizione della squadra di governo del 44.mo presidente degli Stati Uniti. Una transizione estremamente rapida da cui emerge un dato su tutti: i clintoniani sono tornati nella stanza dei bottoni. Aspettando di vedere se Hillary Clinton sarà davvero il nuovo segretario di Stato (una scelta che farebbe storcere il naso a molti supporter di Obama), la stampa americana dedica da giorni analisi e commenti al ritorno della vecchia guardia del partito Democratico. La sigla è la stessa: FOB, ma stavolta si tratta dei “Friends of Bill”. D’altro canto, anche la BBC si è chiesta se Obama stia “ricreando l’era Clinton”. A giudicare dagli incarichi già assegnati in questa fase di transizione sembrerebbe di sì. Dal capo del team che sta guidando il passaggio da una presidenza all’altra, il clintoniano di ferro John Podesta, fino a scendere ai posti meno importanti nelle agenzie e dipartimenti statali, è tutto un susseguirsi di collaboratori e consiglieri dell’ex presidente venuto dall’Arkansas.
Ma cosa c’è dietro questa strategia che sembra andare contro quel cambiamento che Obama ha promesso in campagna elettorale? Secondo Wiliam Galston, della Brookings Institution e già consigliere di Bill Clinton, Obama sta usando del buon senso avvalendosi dell’esperienza dello staff dell’ex presidente. Intervistato da “The Politico”, Galston sostiene che Obama è fortunato ad avere a disposizione dei democratici con esperienza di governo. Un’opportunità mancata proprio a Bill Clinton (l’ultima amministrazione democratica era stata quella lontana e perdente di Carter) che fu così costretto a nominare gente inesperta con conseguenti turbolenze nel primo anno di presidenza. Della stessa opinione è una delle penne più prestigiose del “Time”, Karen Tumulty. “Obama – si legge nella rivista in edicola questa settimana – parla di cambiamento ma non vuole ripetere gli errori dei suoi predecessori che hanno tentato di governare da outsider e si sono circondati di consiglieri che non capivano come funzionano i meccanismi di Washington”.
Qualche errore, tuttavia, il team Obama in questa delicata e tumultuosa fase di transizione l’ha compiuto. Durante la campagna elettorale, il senatore afro-americano ha criticato aspramente il potere delle lobby. Ora, però, nonostante abbia imposto formalmente delle regole ferree per l’assunzione nella sua amministrazione, sbucano fuori legami scomodi con interessi privati, che rischiano di imbarazzare il nuovo presidente. Anche l’obamiano “New York Times”, sabato scorso, ha dedicato un lungo e dettagliato articolo alla questione.
Molti membri della futura amministrazione, ha scritto David D. Kirkpatrick, hanno avuto rapporti con Fannie Mae, il gigante dell’immobiliare che, con il suo fallimento, ha dato il via alla crisi finanziaria statunitense. Ma c’è anche chi, come John O’Brennan, a capo di una società di intelligence, è incaricato di supervisionare la fase di transizione alla CIA o Mozelle Thompson che ha lavorato come consulente di numerose società, tra cui Facebook.com, ed ora ha l’incarico di revisionare la Borsa di Wall Street. E ancora, John L. White, incaricato di mettere mano al nuovo Dipartimento della Difesa, già partner di una società che investe nell’industria bellica. Anche nel settore dell’energia non mancano le sorprese: nel gruppo dei 12 esperti scelti da Obama c’è David J. Hayes, registrato come lobbista della società Latham & Watkins; Sally Katzen, lobbista di una grande compagnia farmaceutica e Tom Wheeler, ex lobbista nel settore della comunicazione. “Change has come to America”, ha dichiarato orgoglioso Obama nella notte magica del Grant Park di Chicago. Il cambiamento (forse) è arrivato. Ma alcune vecchie abitudini (sicuramente) non sono cambiate.