Tutto è pronto per l’offensiva al Cav. ma sul pentitismo sta calando il sipario
26 Novembre 2009
di Dolasilla
Il canovaccio è stato scritto con calma. Con precisione è stata studiata la tempistica. I protagonisti studiano da qualche anno e hanno avuto tutto il tempo per mandare a memoria le battute. Dopo quindici anni di indagini, il gip di Napoli si è deciso a chiedere l’arresto di Nicola Cosentino, fino a qualche giorno fa candidato più che certo alla Regione Campania. I fatti che lo inchioderebbero sono stati raccontati da pentiti di camorra. Il più loquace di essi è un cocainomane, riferiscono, con qualche problema psichico. Teatro delle malefatte di Cosentino è l’area tormentata che gravita attorno a Casal di Principe, nel casertano. Terra di camorra, dove le probabilità di morire con piombo in corpo sono più alte che in qualsiasi altra zona d’Italia.
Palermo, Napoli, Firenze, Milano: cioè il processo d’appello a Marcello Dell’Utri, come apripista alla preda grossa Berlusconi; le inchieste di camorra contro Casentino, a Napoli; le indagini sulle stragi del ’93 a Firenze; il processo per corruzione in atti giudiziari nel capoluogo ambrosiano. Tutti sanno che è solo questione di tempo, al punto che è venuta meno perfino l’attesa, perché da queste Procure, come un sol uomo, altrettanti gip si facciano avanti per pronunciare il nome fatidico di Silvio Berlusconi.
Non deve sorprendere, perciò, che un Paese intero ostenti un disinteresse tanto smaccato per cronache tanto annunciate e prive ormai della benché minima suspence. Nessuno si è sorpreso quando da Palermo è giunta la notizia che nella memoria della Direzione investigativa antimafia al processo d’appello contro Dell’Utri è stato allegata una deposizione del pentito di mafia Gaspare Spatuzza che chiama in causa il presidente del Senato Renato Schifani. Colpevole, nel racconto di Spatuzza, di aver incontrato il boss Filippo Graviano e l’imprenditore Pippo Cosenza, in odore di mafia ma mai condannato. Per fare o decidere che cosa? Qui la memoria di Gaspare Spatuzza vacilla. Dopo diciannove anni ha trattenuto soltanto qualche nome. Nulla di più.
Spatuzza, le cui rivelazioni su Berlusconi e sulla genesi criminale di Forza Italia erano attese con l’ansia spasmodica di un romanzo di Tolkien, rischia di essere il necroforo di una lunga stagione giudiziaria scandita dal "pentitismo". Nato come filone di indagine da esplorare per disarticolare le organizzazioni del grande crimine, il "pentitismo" è subito entrato nella logica di una "gestione dinamica", per dirla con le parole di Giancarlo Caselli, uno dei più grandi registi del filone. Caselli costruì i processi a Giulio Andreotti, finiti come si sa. Quella stagione ha dato risultati su almeno due fronti: scarsi o irrilevanti nella lotta contro la mafia, devastanti nella manipolazione della vita politica.
L’attesa per il capitolo finale, quando Spatuzza o un suo sodale faranno il nome di Silvio Berlusconi, è a un livello piuttosto basso. La fucileria della stampa "anti" dovrà dannarsi l’anima per tenere desta l’attenzione dell’opinione pubblica se vuole evitare che la notizia decisiva venga salutata da un’alzata di spalle.
Comunque vada, sul pentitismo, dinamica o statica che sia stata la sua gestione, sta per calare il sipario. Lo sfruttamento intenso sul piano della lotta politica ne ha minato ogni credibilità. Luciano Violante, ideatore e architetto ineffabile di questa stagione, l’ha archiviata prima per primo. Con un libro, qualche intervista mirata e soprattutto con un rapido viaggio a Palermo per dire ai magistrati che lui, di un’intesa fra Stato e mafia non aveva mai sentito parlare.
Gaspare Spatuzza rischia perciò di arrivare fuori tempo massimo. Gli altri attori stanno smontando le tende. Ma stavolta il circo non avrà più altre piazze ansiose di ospitarlo. E forse a Silvio Berlusconi neanche servirà di presentarsi in televisione per convincere gli italiani della sua innocenza. Potrebbero essersi convinti già grazie a Gaspare Spatuzza.