Tutto quello che Jünger e Heidegger avrebbero potuto dirsi
30 Novembre 2008
di Vito Punzi
Si sarebbe potuto gridare all’evento editoriale europeo (e qualcuno in Italia l’ha fatto). Al di là dell’elemento inedito e dell’altisonanza dei nomi dei corrispondenti, la lettura del Carteggio tra due grandi e discussi del Novecento come Ernst Jünger e Martin Heidegger (Günther Figal unter Mitarbeit von Simone Maier (Hrsg.) Ernst Jünger – Martin Heidegger. Briefwechsel 1949-1975, Verlag Keltt-Cotta und Vittorio Klostermann, Stuttgart/Frankfurt am Main 2008, p. 317, € 29,50) delude più di quanto sia in grado di suscitare interesse. E non solo perché di fatto la corrispondenza, tutta postbellica, si riduce ad una manciata di lettere (e a meno di un terzo del corposo libro), o perché il volume ripropone due saggi (Oltre la linea, a firma dello scrittore e La questione dell’essere, opera del filosofo) già editi. Sebbene il rapporto sia durato ventisei anni, in realtà non si ha che fare con un’amicizia epistolare da pari a pari. Tanto più che Heidegger aveva riflettuto per tutti gli anni Trenta sullo jüngeriano Il lavoratore (Der Arbeiter, 1932), tanto da riempire con gli appunti di quegli anni un intero volume della sua opera completa.
Abitarono a lungo anche vicini, a quell’epoca (a Ūberlingen lo scrittore e a Freibug il filosofo), eppure i due non ebbero alcun desiderio di incontrarsi. Siamo nel 1949, ed è l’inizio dell’epistolario, quando Jünger discute con l’editore Klett il progetto di pubblicare una rivista che avrebbe dovuto chiamarsi “Pallas” e che avrebbe visto la guida della redazione affidata ad Armin Mohler. Lo scrittore di Heidelberg vorrebbe coinvolgere anche Heidegger, ma questi rifiuta, perché troppa e troppo diffusa è la “brama di vendetta” che pervade l’opinione pubblica.
E’ proprio dalle prime lettere, o meglio dal commento ad esse redatto da Günter Figal (esperto dell’opera del filosofo, ma non di quella dello scrittore, evidentemente), che emergono altri limiti presenti in quest’edizione. Nella citata lettera a Klett, Jünger attacca il pacifista anarchico d’origine ebraica Kurt Hiller, accusandolo di essere stato “uno dei principali responsabili dei pogrom ebraici”, perché per decenni con aveva fornito a “Der Stürmer”, la rivista nazionalsocialista particolarmente volgare nella sua propaganda antisemita, “tutto ciò che c’era di più lercio nell’essere tedeschi”, fino al punto di considerare Hiller e Julius Streicher, il direttore di “Der Stürmer”, “le due facce della stessa medaglia”. Parole dure, durissime, nelle quali risuona ancora tutta la tensione drammatica degli anni della Repubblica di Weimar. Parole che andrebbero contestualizzate per essere meglio capite. Eppure la nota di Figal, che pure c’è, si limita a riportare le date di nascita e morte di Hiller, senza una parola, per esempio, sulla fervente attività di Jünger come pubblicista politico prima del 1933, senza alcun tentativo di comprensione del significato di quelle parole nel 1949. Del resto anche Jürgen Busche, recensendo il libro per la “Frankfurter Zeitung”, ha definito la sezione di commento di questo epistolario come redatta “purtroppo un po’ alla carlona”.
Infine, sebbene il nome dei due grandi personaggi lasci presumere che il volume ruoti attorno al nocciolo della cosiddetta “rivoluzione conservatrice”, in realtà negli anni Cinquanta (il periodo nel quale si concentra quasi l’intera corrispondenza) quei due signori attempati erano ormai lontani dall’azione e piuttosto, Heidegger soprattutto, avevano intrapreso la via della quieta rassegnazione. Insomma, considerando anche la doppia paternità del libro (due editori capaci solitamente di pubblicazioni eccellenti), ci si aspettava qualcosa di più, e non solo dai due corrispondenti.