Ultimatum del Cav. ai finiani che temono le urne e temporeggiano tra un sì e un se

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Ultimatum del Cav. ai finiani che temono le urne e temporeggiano tra un sì e un se

20 Agosto 2010

Silvio Berlusconi va a dritto: “O fiducia o alle urne entro dicembre”. I finiani cincischiano tra un sì e un se: “Voteremo il documento, convergenza al 95 per cento “, risponde Bocchino ma il 5 per cento di ‘se’ o di ‘ma’ lo lascia aperto sul capitolo giustizia.

Nel giorno del vertice clou l’istantanea del Pdl è nitida: da un lato il partito e il suo leader che traducono nero su bianco i cinque punti-chiave della fase due della legislatura, scrivono che questi sono e questi restano, che non accetteranno più mediazioni infinite e che la fiducia alla mozione che arriverà in Parlamento e che il Cav, ieri ha affidato ai vertici dei gruppi di Camera e Senato, sarà vincolante. Da ora in poi.

E siccome il premier sa bene che la fiducia al testo programmatico non metterebbe comunque al sicuro l’esecutivo da eventuali e nuovi distinguo finiani, chiarisce subito che non intende “accettare trattative come quelle che si sono verificate nel passato”. Come quella sulle intercettazioni, ddl che praticamente i fedelissimi del presidente della Camera hanno stravolto. Altrimenti? Elezioni anticipate, entro dicembre, scandisce il Cav nella conferenza stampa che segue le sei ore di summit a Palazzo Grazioli. Pdl e Lega parlano la stessa lingua.

E se in Aula non ci sarà una”maggioranza congrua” – rincara la dose Berlusconi – l’unica via è tornare davanti agli elettori dal momento che non vi è alcuna possibilità di esecutivi sorretti da maggioranze diverse da quelle elette democraticamente (messaggio indiretto al Quirinale), perché “non c’è nessuna teoria giuridico-politica che possa giustificare” che chi è stato sconfitto vada al governo.

Dall’altro lato, ci sono Italo Bocchino e Carmelo Briguglio che un istante dopo il Cav, danno alle agenzie la loro versione. Entrambi allontanano con decisione lo spettro delle urne sostenendo che questa legislatura andrà avanti fino al termine naturale, ma letta dalle file del Pdl l’affermazione rivela il timore del voto anticipato, magari a dicembre come paventato giovedì da Bossi e ieri da Berlusconi, oltre al fatto che l’annunciato sì al documento viene considerato un passaggio obbligato per Fli nel tentativo di non far emergere in modo palese le divisioni che peraltro già si sono innestate nel gruppo dell’ex leader di An.

Se per Briguglio “la montagna ha partorito il topolino”, il capogruppo di Futuro e Libertà prova a intestare al suo capo – Gianfranco Fini – la vittoria del documento e a minimizzarne la portata politica (nessuna sorpresa, è ciò che sta nel programma elettorale e che il presidente della Camera ha sollecitato nell’ultima direzione nazionale, è il succo del suo discorso). Aggiungendo poi  del “sale” a quella che Fini definì la “minestra” (del Pdl) sul capitolo giustizia e in particolare alla voce “processo breve”.  

La montagna ha partorito il topolino? Tutt’altro. Il passaggio di ieri – è il ragionamento nell’inner circle del Cav – è strategico perché rilancia l’azione del governo su temi centrali quali Sud, federalismo, giustizia, fisco, sicurezza e “inchioda alle proprie responsabilità politiche chi è stato eletto con sulla scheda il nome ‘Berlusconi presidente’ e adesso ha preso un’altra strada non mantenendo fede al mandato ricevuto dagli elettori”.

Già, la giustizia. Resta il punto più delicato. Bocchino mette le mani avanti quando dice che nei punti programmatici che i ministri competenti dovranno trasformare in provvedimenti da portare in parlamento “c’è solo l’incognita del processo breve. Certo se il premier ce lo chiede, ci spiega, ed è chiaro quanti processi potrebbero saltare noi siamo disposti a votarlo. Certo, ci potrà essere un distinguo in sede di votazione alla Camera. Comunque siamo pronti a confrontarci su questo tema”. In altre parole, il refrain è sempre lo stesso.

Non è un caso se tra i berlusconiani doc Giorgio Stracquadanio, ricorda che “il processo breve è una proposta che arriva da Fini e da Giulia Bongiorno. Subito dopo il Lodo Alfano, infatti, si discusse: da una parte c’era chi proponeva la prescrizione breve, dall’altra chi invece aveva proposto la prescrizione processuale, ossia che un processo non può durare oltre un certo termine. E fu proprio Fini a proporlo. Una volta approvato in Senato con il consenso di tutti i senatori del Pdl, doveva passare alla Camera ed essere approvato. E invece lì Fini è venuto meno a un suo impegno, con la maggioranza e i suoi elettori, collocando quella legge su un binario morto”.

Osvaldo Napoli, avverte che quel 5 per cento di mancata convergenza che il capogruppo di Futiro e Libertà ha lasciato in sospeso non “deve trasformarsi nel ritorno alla politica del logoramento”. Anche perché la fiducia “ come ben sa il collega Bocchino, non contempla percentuali, ma soltanto un sì e un no”.

Insomma, se Bocchino ci prova, la maggioranza fissa i paletti. La fiducia al documento programmatico – è il ragionamento ricorrente nei ranghi del partito – di fatto autorizzerebbe il governo a porre successivamente la fiducia su ogni singolo provvedimento. Perché, alla fine, sarà proprio sui ‘tempi ragionevoli’ del processo che si misurerà la lealtà di Fini e i suoi al mandato elettorale e al governo.

Potrebbe essere questa l’ultima mossa del Cav, prima del count down verso le elezioni anticipate. Entro dicembre.