Un Berlusconi ex novo è meglio di un premier arroccato a Palazzo Chigi
06 Dicembre 2010
Dire che c’è aria di crisi non è esprimere praticamente niente. Ormai si tratta di uno stato di cose che ha la sua compattezza, sia dal punto di vista economico e sia politico. Non è neanche il caso di entrare nel tira e molla interno alla maggioranza, perché il comportamento in aula la scorsa settimana, durante la discussione per l’approvazione della riforma universitaria, è lì a testimoniarlo.
Per i finiani all’inizio sembrava una questione di metodo, poi è diventata di alcuni contenuti, fino ad arrivare adesso a creare problemi intempestivi e impulsivi anche per una riforma difficile da non condividere. Nessuno pensa che questo provvedimento sia il migliore possibile, per carità, e nessuno si stupisce che la sinistra cavalchi la protesta; ma che senso ha bofonchiare per ogni punto programmatico stando al governo?
D’altronde, appare improbabile che sia Fli a sfrenare la caduta di Berlusconi. E’ più semplice logorare che assumersi una responsabilità. Poi, le elezioni sono molto più temute da chi ostenta sicurezza. Tant’è che Fini minaccia di rimandarle all’infinito, con l’abilità del sé dicente giurista. Non credo che sia opportuno indugiare troppo sugli accadimenti. Perlomeno, io non mi sento di dare consigli, e tanto meno di fare traballanti previsioni.
Quello che si può dire è che in questo momento l’arroccamento a Palazzo Chigi forse non è l’unica via. Probabilmente, non la più astuta e intelligente. Non essendoci alternativa, in definitiva perché Berlusconi dovrebbe ritardare la consegna del suo mandato a Napolitano? Forse gli converrebbe valutare la possibilità di offrire a deputati e senatori un nuovo gabinetto, con un programma nuovo, con una compagine di ministri appena usciti e con la seria probabilità di ottenere pure una fiducia novella. L’altra ipotesi, infatti, di farsi avanti così com’è per tentare di ricevere credito, con tutta l’endemica debolezza progettuale, ha dei limiti razionali.
Il primo è che Fli ha il coltello dalla parte del manico. Quanto migliore sarà il discorso, tanto più probabile sarà la rinuncia a votarlo. Inoltre, nessuna forza politica di opposizione potrebbe andare in aiuto a questo esecutivo senza farlo vivacchiare, perdendo la formale coerenza e l’utilità. Crisi a parte, se Berlusconi si ripresenta ex novo è meglio che se si lancia a ricevere una conferma vecchia, fragile e stentata. Salvo, poi, l’ipotesi di una plateale sfiducia che renderebbe difficile a Napolitano ridargli l’incarico, più per ragioni psicologiche che oggettive.
La disapprovazione di certo lancerebbe in alto l’ipotesi del governo tecnico, magari guidato dall’ottimo Schifani, ma difficilmente aprirebbe le porte ad una replica immediata di Berlusconi senza il passaggio alle urne. La scelta più coraggiosa, però, resta quella di premere comunque sul programma, lasciando perdere le fascinose e fatue pusillanimità fatiscenti degli slogan. Questi finirebbero per rappresentare il peggio e non il meglio del Cav. Un programma chiaro, ideale e coraggioso, anche se non troppo concreto da sembrare rimediato e posticcio. Oggi scegliere se stare di qua o di là dalla cortina di ferro dell’ex Pdl significa molto di più che voler fare o no la riforma fiscale o i decreti attuativi del federalismo o il gemellaggio con la Lega. Non perché siano queste delle questioni irrilevanti, ben inteso, ma per la logica molto arcana e profonda che si è instaurata.
Cosa rappresenta Berlusconi? Cosa Fini? Nessuno lo dice, ma tutti lo sanno. Tra Napoleone e Metternich non era questione di idee, ma di stile personale e di garanzie inconsce. Oggi per loro è lo stesso. La gente comune non può sottrarsi alla soggettiva identificazione con l’uno o con l’altro. In politica, si sa, c’è il momento del fare e quello dell’immedesimarsi. Riuscire a dimostrare di sé quanto gli altri non potrebbero in alcun modo garantire, vale molto di più che esibire i risultati incoraggianti delle tabelle di Tremonti.
Berlusconi punti su persona, famiglia e laicità. Dica al Paese, parlando al suo Parlamento, quali sono i rischi di una deriva libertaria soprattutto a destra. Si faccia garante, oltre il moralismo, di difendere la vera visione etica nazionale, ossia la dignità della persona, l’unicità della famiglia naturale e la laicità di un impegno legale per scalzare ogni possibile indebolimento della base cattolica italiana, e la fiducia verrà da sé, anche senza chi ormai incarna il tradimento e il profetismo sventurato.
E’ molto meglio essere vulnerati e veritieri che forti e insulsi. Non sarà un risultato forse memorabile, probabilmente neanche un successo comunicativo, ma innegabilmente è l’anelito e lo slancio oggi richiesto per ripartire da capo. Per Berlusconi attendere il futuro è la via sicura per una morte certa, mentre soccombere volontariamente per poi rinascere è l’unica ancora di salvezza.