Un confronto TV al giorno toglie il pubblico di torno
31 Marzo 2008
di redazione
Se n’è accorto anche Aldo Grasso: che dal suo consueto spazio sul Corriere della Sera di oggi si domanda se “a ovattare la campagna TV con i lacci della par condicio” non si finisca “semplicemente per far fuggire gli spettatori dalla noia”. A offrire al critico televisivo lo spunto di riflessione sono le elaborazioni di Massimo Scaglioni sui dati di Auditel relativi alle trasmissioni di argomento politico delle ultime settimane, da quelle di approfondimento alle tribune politiche.
Gli esiti sono facilmente immaginabili anche per i non addetti ai lavori. Non è un mistero che gli spettatori si appassionino ai dibattiti, alle interpretazioni, alle opinioni, molto più che ai confronti “secchi” tra candidati – come quelli delle tribune politiche – cui costringe la rigidità dei regolamenti. Con il risultato paradossale che l’audience televisiva cresce quando in studio non c’è alcun politico presente – come il venerdì sera da Mentana, che con “Matrix” raggiunge il 22% di share ospitando Pagnoncelli e Berselli – e cala invece drasticamente quando di politici ce ne sono una pletora, magari raccolti intorno a una tavola rotonda – come è accaduto contemporaneamente su Raiuno, ferma al 14% di share.
Le riflessioni di Grasso costituiscono, se ce ne fosse stato bisogno, un’ulteriore ragione per dubitare non solo della fattibilità, come sinora è avvenuto, ma anche della reale utilità dei confronti televisivi tra leader politici. A prescindere dall’effettiva realizzazione della “madre” di tutti i faccia a faccia – vale a dire la trasmissione conclusiva della campagna elettorale, da svolgersi negli ultimi dieci giorni prima del voto, che dovrebbe mettere di fronte tutti i candidati premier dei vari schieramenti in lizza -, c’è da domandarsi a chi mai gioverebbe un simile mostro. Non ai giornalisti, che hanno già manifestato le loro consistenti perplessità in merito all’opportunità di condurre un programma così congegnato (viste le difficoltà di tenere a bada due soli candidati, immaginarsi cosa accadrebbe quando questi sono dieci, e in novanta minuti…). Non ai politici, che non ne guadagnerebbero in chiarezza né tanto meno – visto il trend dell’audience – in penetrazione del loro messaggio nell’elettorato. Non agli elettori, che si confermano ormai insensibili a quello che Grasso definisce “il consueto gioco dei partiti politici che recitano un copione sempre uguale”.
Ma se è vero che i telespettatori mostrano una chiara preferenza per la TV vivace, anche se parziale, piuttosto che per quella completa e imparziale, ma rigida e grigia, va sollevata un’altra questione di non poco conto. Sin qui, la Rai ha interpretato il proprio ruolo di concessionaria del servizio pubblico badando appunto più alla correttezza formale che alla reale preoccupazione di veicolare contenuti a stimolare il dibattito. Ne è un esempio lampante la scelta di annullare la puntata di Porta a Porta con ospite Berlusconi, non appena Veltroni ha dato forfait alla sua partecipazione alla trasmissione precedente. Una scelta che, lungi dall’offrire agli spettatori-elettori quegli strumenti di comprensione necessari a formarsi una propria opinione, li ha di fatto inibiti, in nome di un superiore equilibrio da salvaguardare. A questo punto magari l’equilibrio sarà salvo: ma ad apprezzarlo saranno in pochi. I più hanno già cambiato canale, attratti da punti di vista forse meno imparziali ma certo più interessanti; trasmessi da chi, pur non essendo pubblico, dimostra di fornire un servizio degno di questo nome.