Un dramma per la cultura italiana, lo specchio di un Paese che va in frantumi
16 Gennaio 2008
La sospensione della visita di Benedetto XVI alla Sapienza
rappresenta un dramma per l’Università e la cultura italiane, del quale
sentiremo le conseguenze e porteremo il peso a lungo. Benché sia probabile che nella
decisione vaticana abbiano influito preoccupazioni relative all’ordine
pubblico, resta l’amarezza per la brutta, bruttissima piega che va prendendo
nel nostro paese il rapporto tra cattolici e laici.
Ciò deve indurre a una riflessione e a uno sforzo congiunto tutti
i rappresentanti più consapevoli di entrambe le culture, perché venga
recuperata la ragionevolezza e nessuno dimentichi mai, in prima battuta, quel
“fatto del pluralismo”, che caratterizza in modo strutturale le democrazie liberali
e che include, assieme alle convinzioni laiche e agnostiche, quelle religiose,
con pari legittimità. È necessario che i laici ragionevoli isolino gli
integralisti e che i cattolici, unitamente a coloro che pur non credenti sono
pensosi dei valori della civiltà giudaico-cristiana, trovino i modi più idonei
per esprimere la legittima esigenza di ridare voce a questi valori nel
dibattito pubblico.
Sarebbe quindi sbagliato reagire al brutto episodio dell’intolleranza
laica, che ha di fatto privato il Pontefice del suo diritto di parlare alla
Sapienza, con inviti alla contrapposizione frontale. Bisogna opporre fermezza e
moderazione, cercando il consenso, nella condanna dell’episodio, di cattolici e
laici. Sarebbe invece bello vedere un documento in cui la parte migliore
dell’intelligenza cattolica e laica italiana condannasse all’unisono l’episodio.
È certo singolare che tutto ciò accada mentre si è appena
aperto l’anno che l’Unione Europea ha dedicato al dialogo interculturale. La Commissione pensava certo
in primo luogo al difficile rapporto della cultura europea con quelle di
diversa origine, innanzitutto quella islamica, presenti entro i nostri confini
e alle frontiere. Scopriamo invece che, almeno in Italia, il conflitto più
virulento è quello al nostro interno, animato da un integralismo laico di cui
non si sospettava la radicalità. Non risulta, a tal proposito, che i difensori
del laicismo esercitino una ‘vigilanza’ equivalente a quella riservata al
Pontefice nei confronti dei predicatori d’odio e fanatismo che affollano le
nostre moschee. Tutto ciò senza considerare poi che tra i contestatori del Papa,
come in genere nella cultura di sinistra, coesistono in gran confusione
difensori della scienza e relativisti culturali, che dell’oggettività cara agli
scienziati fanno strame.
È infine difficile, venendo all’inevitabile risvolto
politico della questione, non legare questo evento con l’altro che domina in
questi giorni, relativo alla pesante frattura tra le regioni italiane
evidenziato dal dramma dei rifiuti in Campania. Quello che emerge
complessivamente è un paese frantumato, tra Nord e Sud, tra cattolici e laici,
mentre il tessuto sociale si polverizza sempre più e l’economia arranca. E come
reagisce a una crisi di questa portata il sistema politico? Con un livello
della discussione che rischia di sembrare ormai lontano anni luce dalla realtà.
Dum Romae consulitur…
Accanto alla risposta degli intellettuali, è perciò urgente
una risposta di alto profilo del sistema politico, anche qui a partire dalle
forze più consapevoli, che faticosamente stavano avviando un dialogo, il cui
filo non deve spezzarsi, e deve però mirare alto, senza timore di urtare chi si
ostina nella difesa di particolarismi sempre più dannosi per la vita della
nazione. Cattolici e laici, di fatto, convivono in entrambi gli schieramenti
politici, ed è un bene che sia così. Ciò facilita il compito di isolare gli
estremisti, di evitare che il confronto tra le diverse visioni si trasformi in
una guerra civile, orientando ciascuna parte politica e culturale a ricercare
una mediazione anzitutto al proprio interno, ciò che rende più facile, poi,
trovare un terreno comune con l’interlocutore e avversario politico. Tale
incontro deve concernere sia i valori che le regole del gioco, e deve radicarsi
al più presto, prima che le fratture che vanno scomponendo il già fragile corpo
del paese si approfondiscano fino al punto di non ritorno.