Un equivoco di aggira per l’Occidente

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Un equivoco di aggira per l’Occidente

07 Luglio 2007

Fa un certo effetto constatare come nel nostro
paese gli intellettuali militanti di destra e di sinistra siano spesso vittime
di un abbaglio idealistico che, nello studio della storia e della politica, li
porta a entificare valori etici e modelli istituzionali o, meglio, a risolverli
nelle loro “incarnazioni terrene”. L’uomo della strada sa che l’esistenza
reale, concreta ed effettiva ce l’hanno i popoli – e gli stati, che li mettono
in forma in una comunità di destino – con le loro tradizioni, con i loro opachi
interessi terreni sovente in conflitto, con le loro caratteristiche etniche e
religiose, con le loro lingue che, al di là di ogni facile retorica,
rappresentano fattori cruciali di identità etc. Le “forme di governo”, le istituzioni,
le etiche pubbliche non sono l’Idea che si “corporeizza” nella materia rozza
costituita per l’appunto da quei popoli ma sono “abiti”, “stili di vita” da
essi adottati, nel corso della loro storia, per realizzare una convivenza
ordinata, all’interno della polis, e per incrementare le risorse di potere  nei rapporti internazionali. Come capita a
tutti i codici di condotta  in questo
nostro triste mondo sublunare, però, quanti li adottano sono portati a
dipartirsene ogni volta che la fedeltà a un principio potrebbe mettere in
pericolo la sopravvivenza della comunità e così agendo rischiano “propter vitam
vivendi perdere causas”. Per fare qualche facile esempio, si è liberali in
economia finché conviene ovvero finché la concorrenza di altre economie più
solide ed agguerrite non determina crisi di settore. Alla stessa maniera, si è
universalisti e pronti a concedere la cittadinanza anche ai  “gialli” finché non si è in guerra col
Giappone: dopo Pearl Harbour tutto cambia e il passaporto USA non risparmia ai
nipponici il campo di concentramento. Nei due casi, Smith e Constant non hanno
nessuna colpa: né La ricchezza delle
nazioni
autorizza la chiusura dei mercati, né i Principi di politica costituzionale la sospensione dell’habeas corpus.

Vi sono studiosi, invece, che nel genocidio
degli indios vedono il lato oscuro
del cristianesimo, nel colonialismo l’esito coerente dell’illuminismo,
nell’imposizione delle proprie merci a colpi di cannone il vero volto del
liberalismo. Nel  migliore dei casi,
vengono a un compromesso concettuale: nel cristianesimo c’è il Sermone della Montagna ma ci sono anche
i roghi dell’Inquisizione; nell’illuminismo c’è il Trattato sulla tolleranza ma ci sono pure i furori giacobini e
l’ideologia del Terrore; nel liberalismo ci sono i “diritti
universali” dell’uomo e del cittadino ma altresì la schiavitù del salario, le
ineguaglianze sociali, la discriminazione razziale. E’ la logica della par condicio applicata alle ideologie.
Tale logica si spiega solo col group
fiction mind
( il meccanismo che dissolve le bandiere negli alfieri), mascherato
da falso realismo, per cui non esistendo il liberalismo come anima senza corpo ma
solo liberali in carne ed ossa – individui o stati che siano – per sapere che
cos’è il liberalismo non c’è altro modo che quello di vedere che cosa fanno i
liberali. Chi ragiona così è condotto a elaborare sillogismi del tipo: “Jefferson
era un liberale, Jefferson era un proprietario di schiavi, il liberalismo è
schiavista” oppure “l’Inghilterra vittoriana era liberale, l’Inghilterra
vittoriana era sessista, il liberalismo è sessista”.

Per il vero realista, al contrario,  parlare di “Inghilterra liberale” si può solo
a patto di considerare l’Inghilterra la summa
realitas
e il liberalismo una “divisa ideale”, un insieme di principi, che,
a volte, riesce a neutralizzare i “politici maneggi” – come quando Westminster
censurò un eroe nazionale, Horace Nelson, per non aver impedito le rappresaglie
borboniche contro i patrioti del 1799 o chiese scusa a un esule, povero in canna,
Giuseppe Mazzini, per la violazione della sua corrispondenza privata – altre
volte viene umiliato dalle regole della “ragion di Stato” – v. Churchill che,
per salvaguardarne l’alleanza, consegnò al vendicativo Stalin i rifugiati russi
pur divenuti cittadini britannici! Il poker non sono i giocatori di poker,
anche se solo i giocatori sono individui che nascono, muoiono, vincono, perdono
e quindi  hanno un’esistenza reale
,a differenza del  gioco che è una
costruzione mentale fatta di regole spesso  non rispettate.

Un discorso analogo va fatto per l’Occidente,
termine il cui uso in positivo rinvia ai diritti individuali, al principio rappresentativo,
alla libertà di ricerca, alla logica del mercato e della “società aperta”,
all’emancipazione dai vincoli della tribù e della tradizione intesa come la
tirannia dei morti sui vivi. Quando un raffinato studioso come Amos Luzzatto,
in una lettera indirizzata a Magdi Allam e pubblicata sul ‘Riformista’ – Leggendo il tuo titolo vedo allontanarsi
pace e sicurezza
– , sulla scia di Franco Cardini e di Domenico Losurdo, ripropone
topoi come questi: “Se dobbiamo
escludere da questa civiltà lo sterminio delle popolazioni amerinde, le
deportazioni di massa di schiavi in condizioni disumane dall’Africa al di là
dell’Atlantico, se considerassimo le guerre di religione, i roghi
dell’Inquisizione, i misfatti dei colonialismo, i totalitarismi e le loro
vittime alla stregua di parentesi, da non includere tra i fasti di questa
civiltà, temo che ne resterebbero solo periodi molto limitati”, segno è che un
grosso equivoco “si aggira per l’Europa”. Per Luzzatto, l’Occidente non è il
patrimonio di conquiste ideali inedite nella storia dell’uman genere, ma un
corpaccione fatto di tante cose, di Voltaire e di Torquemada, di Hitler e di
Stalin, di genocidi e di guerre mondiali: 
a farne la pesa , sul bancone del macellaio, si constata che le parti
commestibili sono poche.

Alla luce di questi criteri di giudizio,
dovremmo finirla con l’esaltazione dell’Umanesimo e del Rinascimento italiano:
c’erano, sì, Leonardo e Michelangelo ma c’erano anche i tirannelli spietati e
sanguinari  descritti da Machiavelli e da
Burchkardt, l’esistenza era esposta a ogni genere di rischio, si viveva poco e
male, alla mercé di epidemie e di saccheggi. Per poter  sposare, al riparo da congiure, Francesco
Sforza, Bianca Maria Visconti dovette far costruire la Chiesa di San Sigismondo
alla periferia di Cremona in mezzo a un grande prato verde. E’ un ‘pezzo’ di
Rinascimento che, assieme a tanti altri “pezzi” analoghi, nell’ottica di
Luzzatto, finisce per ridurre a ben poca cosa il “pezzo forte” costituito dal Davide di Michelangelo!

In realtà, a causa del kantiano legno storto
di cui è fatta l’umanità, le civiltà che hanno predicato bene non di rado hanno
razzolato male e la nostra non fa eccezione. Sennonché sono le “prediche”
dell’Occidente, non la sua ‘umana troppo umana’ zavorra, che i Magdi Allam
vogliono consegnare alla posterità, nella consapevolezza che quando le società
le hanno tradotte in  leggi e in costumi i
figli della Terra hanno conosciuto il “meno peggio dei mondi possibili”. Tra
quelle prediche ci sono la dignità degli individui uti singuli – e non come parte di tribù e di etnie – l’istituzionalizzazione
della ‘ragion critica’, per cui non c’è autorità che non possa venir chiamata a
render conto del suo operato, le ‘garanzie della libertà’, ivi compresa quella
di entrata e di uscita da una qualsiasi appartenenza%2C il mercato come luogo
d’incontro tra l’utile personale e quello collettivo. Ricordare a chi si batte
per questi valori Hernan Cortes o il Generale Custer, significa rinunciare al
pacato discorrere e mettersi su una china che porta, certo senza  avvedersene, alla “ragion talebana”.