Un filmato inchioda Teheran sul nucleare, l’Onu estende le sanzioni
04 Marzo 2008
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato ieri una
risoluzione che estende le sanzioni nei confronti dell’Iran, accusato di
continuare le attività di arricchimento dell’uranio per scopi militari. Il
documento approvato non inasprisce le sanzioni già decise a dicembre 2006 e
marzo 2007, ma ne estende la portata e l’applicazione in diversi modi. In primo
luogo è vietato il commercio con l’Iran di materiali dual use, cioè di prodotti e tecnologie che sebbene di natura
civile possono essere facilmente adattati per scopi militari, e sono
autorizzate ispezioni dei cargo in entrata e in uscita dall’Iran sospettati di
trasportare materiali proibiti. In secondo luogo è esteso il monitoraggio delle
istituzioni finanziarie iraniane e il congelamento dei fondi collegati a
individui e compagnie coinvolte nel programma nucleare di Tehran.
La risoluzione è passata con il sostegno di 14 dei 15 membri
del Consiglio, essendosi astenuta l’Indonesia, dopo che i cinque paesi con
diritto di veto avevano trovato un accordo sulla sostanza e il tono della
risoluzione. Anche la Germania, sebbene non presente nel Consiglio, ha
partecipato attivamente al negoziato, contribuendo a caratterizzare come
europea questa iniziativa volta ad aumentare la pressione internazionale sull’Iran
allontanando nel contempo l’ipotesi di un’azione militare. Non a caso, come
nota l’International Herald Tribune del 4 marzo, la risoluzione comprende anche
“l’impegno dei sei paesi a stabilire piene relazioni e cooperazione economica
con Tehran una volta sospese l’attività collegate all’arricchimento”.
La risoluzione è stata preceduta, e in qualche modo
favorita, da un rapporto presentato il 25 febbraio ai paesi membri dell’Agenzia
Internazionale dell’Energia Atomica dell’Onu (AIEA) dal capo degli ispettori in
Iran Olli Heinonen. Secondo quanto riferito da un articolo di Le Monde del 2
marzo, il rapporto comprende “documenti indicanti che l’Iran ha lavorato alla
costruzione di una ogiva nucleare e che tali sforzi sono continuati dopo il
2003”. In particolare vi sono delle immagini della testata missilistica, e i
dati di un sito sotterraneo appositamente congegnato per testare esplosioni
atomiche. Il rapporto avrebbe dunque un tono ben più preoccupante rispetto alla
precedente posizione del direttore dell’AIEA ElBaradei, che aveva parlato con
maggiore cautela di una “possibile dimensione militare” del programma iraniano,
e anche rispetto al rapporto delle agenzie di intelligence americane che alla
fine dello scorso anno avevano riferito di una sostanziale interruzione delle
attività nucleari di carattere militare in Iran a partire dal 2003.
Il rappresentante iraniano all’AIEA ha ovviamente contestato
la veridicità del filmato, e ha accusato la stessa agenzia di aver superato i
limiti del proprio mandato. All’indomani della risoluzione sulle sanzioni ha
inoltre bollato la decisione del Consiglio come “irresponsabile”. I vertici
iraniani, finora, nel complesso hanno mantenuto un basso profilo nei confronti
delle ultime azioni della comunità internazionale. La leadership di Tehran
sembra infatti impegnata in una complessa partita su diversi fronti, e il
dossier nucleare non sembra rappresentare una priorità assoluta quanto piuttosto
una importante carta da giocare per raggiungere l’obiettivo di lungo periodo di
uno status di potenza regionale nel Medio Oriente.
Proprio nei giorni intercorsi tra il rapporto dell’AIEA e la
decisione del Consiglio, il presidente iraniano Ahmadinejad si trovava in Iraq
per incontrare i vertici politici di Baghdad. Ahmadinejad è stato il primo capo
di stato di un paese mediorientale a far visita al presidente iracheno Talabani
dal rovesciamento di Saddam Hussein nel 2003, un gesto dall’alto valore
simbolico in un contesto però poco chiaro. L’Iran è accusato dagli Stati Uniti
di finanziare, addestrare e rifornire di armi ed esplosivi le milizie sciite
impegnate in attività terroristiche in Iraq, ai danni tanto dei sunniti
iracheni che delle truppe americane nel paese. Al tempo stesso, il governo di
Baghdad è guidato dallo sciita Al-Maliki e ha sempre cercato di migliorare i
rapporti con il vicino iraniano, contro il quale l’Iraq di Saddam Hussein aveva
combattuto un decennio di guerra con centinaia di migliaia di morti. Non a caso
la visita di Ahmadinejad ha suscitato la reazione della minoranza sunnita scesa
in piazza per protestare contro la presenza del “nemico” iraniano; la protesta non
ha però dato luogo a scontri violenti né ad atti terroristici. I leader dei due
paesi hanno affrontato principalmente i temi del petrolio, degli scambi
economici e della sicurezza: come riporta il Financial Times del 4 marzo,
“l’interscambio tra i due paesi si è collocato intorno ai 2 miliardi di dollari
nel 2006, e i funzionari iraniani sperano che raggiungerà i 10 miliardi entro i
prossimi 5 anni”. Gli Stati Uniti e i paesi arabi sunniti temono la crescente
influenza dell’Iran sui vertici iracheni, accomunati dalla comune religione
sciita e dal rancore verso il precedente regime sunnita che aveva attaccato il
primo e oppresso i secondi. Tuttavia, gli stessi paesi arabi sono in un certo
senso i primi responsabili dell’avvicinamento di Baghdad a Tehran, perché non
hanno ancora allacciato relazioni diplomatiche di alto livello con l’Iraq
nonostante i ripetuti appelli degli Stati Uniti.
Se l’obiettivo di americani ed europei è contenere le mire
militari iraniane e pacificare il cuore del Medio Oriente, la cooperazione
politica ed economica tra l’Iraq e i suoi vicini arabi è probabilmente una
condizione necessaria quanto e più delle sanzioni adottate dall’Onu contro
l’Iran.