Un illogico e inesistente conflitto d’interessi
28 Settembre 2017
Un’occasione per reiterare un attacco alle banche “con una forte vocazione locale o regionale”. A questo è servito, per qualcuno, il convegno “La banca nel nuovo ordinamento europeo: luci e ombre” organizzato dalla Fondazione centro nazionale di prevenzione e difesa sociale e dalla Fondazione Courmayeur Mont Blanc che si è tenuto la scorsa settimana. Del tutto isolata è stata sostenuta una posizione che il dibattito in corso sul sistema bancario sta giustamente archiviando: «in molti casi all’origine di situazioni di crisi vi sono a monte problemi di governance, che rimangono latenti magari per lungo tempo e i cui effetti si manifestano quando le condizioni in cui la banca opera diventano più difficili». Arrivando poi ad additare la governance da colpire, appunto, quella delle banche locali. In quella posizione si prova anche a spiegare l’esistenza di un ipotetico nesso tra le due cose ma lo fa in maniera molto poco convincente anche se apparentemente di grande effetto e soprattutto del tutto illogicamente.
Alla vera, quanto mai ovvia, affermazione che i casi recenti di dissesto «hanno confermato che le correlazioni tra i rischi fra le diverse componenti del bilancio possono aumentare nei periodi di crisi» – ma davvero?! – segue un’altra ovvietà: «Così come vi sono pericoli di contagio tra banche può anche esservi una trasmissione dei rischi all’interno di una stessa banca, tra segmenti diversi del suo bilancio». Tra un’ovvietà e l’altra si arriva all’attacco diretto alle banche territoriali con un’affermazione lapidaria e non dimostrata, semplicemente perché non dimostrabile: «questa correlazione può essere accentuata nelle banche con una forte vocazione locale o regionale» e «questo perché in queste banche i pool di investitori, affidatari e depositanti sono più limitati e le tre figure tendono spesso a coincidere: il venir meno della distinzione di ruolo tra i soggetti coinvolti può dare origine a conflitti di interesse e in questo contesto i problemi di governance sono più complessi e i loro effetti più difficilmente controllabili».
Perché mai i ruoli di “investitori, affidatari e depositanti” se coincidenti, come accade nelle banche territoriali, dovrebbero dar luogo a conflitti di interessi? La logica non dice esattamente il contrario? I soggetti in questione hanno, evidentemente, un interesse comune, che è anche quello della banca. E il bene comune della banca non è contemporaneamente il bene di chi in quella banca investe, di chi la dirige, di chi ci lavora, di chi affida ad essa i propri risparmi e chi ad essa ricorrere per poter dare corpo alle proprie attività imprenditoriali? E questo bene cosa è se non il bene del territorio proprio di questi soggetti, appunto “quel pool di investitori, affidatari e depositanti”? E’ del tutto evidente che quella posizione, prima ancora che dalla realtà dei fatti, è smentita dalla logica.
Come è stato correttamente ed autorevolmente sostenuto se si vanno a leggere i nomi delle banche entrate in crisi negli ultimi anni, emerge una verità che non dovrebbe più stupire: ce ne sono di grandi, di medie e di piccole e, soprattutto, ce ne sono di ogni forma di governance. A fare la differenza nel valutare le qualità delle banche sono le competenze, la capacità di innovazione e di creare rapporti fiduciari, insomma, la capacità di stare su un mercato diversificato e sempre più complesso. La discussione sulla struttura, quantitativa e qualitativa, del sistema bancario, è indirizzata, già da un po’ di tempo, sui binari dell’analisi economica e della ragionevolezza liberata dai pregiudizi ideologici che avevano caratterizzato la fase precedente ma che, a quanto pare, sono duri a morire soltanto per l’Italia e non anche per Germania (intervenuta con 238 miliardi di euro per sostenere il proprio sistema bancario contro i 4 dell’Italia) o Francia dove la presenza delle banche territoriali è altrettanto se non più rilevante. Evidentemente Merkel e Macron sono in grado di assicurare un muro efficace contro le derive ideologiche provenienti da alcuni settori della Bce.
Il legame con il territorio, con le comunità, con l’economia reale rappresentano, oggi, una necessità del sistema economico, un valore aggiunto da valorizzare e non certo da “normalizzare” come qualcuno ancora prova a fare, almeno in Italia.
*Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari