Un missile informatico contro la bomba iraniana

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Un missile informatico contro la bomba iraniana

25 Febbraio 2011

Non dev’essere una cosa simpatica trovarsi nel centro di controllo di una centrale nucleare iraniana costruita dagli scienziati russi quando arriva un “missile cibernetico”. I tecnici stanno al loro posto, osservano i dati sugli schermi dei computer per accertarsi che rimangano entro i valori stabiliti, pronti ad intervenire secondo precise procedure in caso contrario. Effettivamente tutto sembra normalissimo, i display mostrano cose rassicuranti ma in verità miliardi di dati sono già andati perduti per sempre. Anche le centrifughe costruite dalla Siemens sembra stiano lavorando come previsto ma in realtà sono bloccate già da decine di minuti, perché la bomba informatica ha già colpito.

Quando i cavi cominciano a bruciare senza che l’apparato antincendio entri in funzione, le macchine iniziano a fondere, il calore si fa insopportabile, il fumo invade gli ambienti senza che i dispositivi di aspirazione diano segni di vita, allora è già troppo tardi: è solo la parte finale, la più appariscente, dell’esplosione di questa nuova arma. Il lavoro di una decina di anni è andato irrimediabilmente perduto e con esso milioni di dollari e, come se non bastasse, anche i progetti di distruggere con l’arma atomica il Piccolo Satana.

Questo dev’essere avvenuto alla fine del 2010 quando un “missile cibernetico” denominato “Stuxnet” ha colpito la centrale nucleare iraniana di Bushehr. Chi ha lanciato quest’arma micidiale? Israele? Gli USA? Entrambi mediante una joint task force che opera in una centrale segreta del deserto del Negev, come ha sostenuto il New York Times? Forse un giorno ce lo dirà Wikileaks, ma per il momento nessuno dei due è disposto a rivelare certi dettagli, né l’Iran può ammettere una simile disfatta.

Il 7 giugno 1981, per distruggere l’impianto nucleare irakeno Osirak costruito dai Francesi, Israele aveva impiegato una squadriglia di aerei F16 rischiando le vite di decine di piloti, la sopravvivenza del governo in carica (mancavano tre settimane alle elezioni della Knesset) e la riprovazione internazionale. Di questi tre rischi, solo il terzo si è puntualmente avverato, ma le ambizioni nucleari del regime irakeno sono state stroncate per sempre.

Trent’anni dopo, la tecnologia permette di ottenere lo stesso risultato a tavolino e senza spargimento di sangue (nell’attacco a Osirak morirono dieci soldati irakeni e un tecnico francese). Non più decine di velivoli da guerra superarmati ma un silenzioso megavirus informatico invisibile. Non più schiere di piloti ben addestrati ma equipes di tecnici informatici altrettanto ben preparati, sostenuti dall’intelligence che con ogni probabilità ha infiltrato agenti provvisti di certificati di sicurezza fin nelle più segrete gallerie sotterranee di Busheher.

Una conferma indiretta di quanto è avvenuto nell’ormai ex reattore nucleare iraniano ci viene da Dimitry Rogozin, ambasciatore russo alla NATO, che nel corso dell’ultimo Consiglio NATO-Russia ha chiesto (invano) un’indagine dell’Alleanza Atlantica sul fattaccio. E ha aggiunto indignato: “L’incidente che ha causato l’infezione del software di Busheher ha comportato il fatto che le centrifughe siano andate fuori controllo. Un attacco informatico come questo può causare una nuova Chernobil!”

Il diplomatico russo, in sintesi, sembra dire: “Non si fanno queste cose!”. Già, non si fanno queste cose. Ma quali cose, esattamente? Lanciare un cybermissile contro un progetto nucleare iraniano oppure costruire un impianto nucleare per un paese che intende distruggere Israele?