Un mormone alla Casa Bianca?
26 Febbraio 2007
di redazione
Può un mormone guidare la Casa Bianca? Cinquant’anni dopo l’animato confronto sulla fede del cattolico John F. Kennedy, l’America torna a dividersi sulla religione di un candidato presidenziale. In Italia non lo conosce quasi nessuno, ma Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts e candidato repubblicano alla presidenza, potrebbe essere la grande sorpresa delle elezioni del 2008. Intanto, la sua discesa in campo rappresenta già un caso. Romney è, infatti, il primo mormone ad avere qualche chance per approdare a Pennsylvania Avenue, ripercorrendo peraltro le orme del padre George, che ci provò nel 1968, abbandonando però quasi immediatamente la competizione. Nella “Democrazia di Dio”, per riprendere il titolo di un recente libro di Emilio Gentile, la religione è un fattore di primaria importanza nel decretare il successo o la disfatta di un uomo politico. Basti pensare che l’estate scorsa, un sondaggio commissionato dal Los Angeles Times ha rilevato che il 37 per cento degli americani non voterebbe mai per un presidente mormone. Una percentuale ancora più alta se si considerano i soli cristiani evangelici, componente fondamentale della base repubblicana, per i quali la fede di Romney è un’apostasia del cristianesimo. La campagna elettorale del telegenico businessman prestato alla politica è dunque iniziata in salita. Romney ha dovuto ribadire in più occasioni che i principi del suo credo non prevarranno sugli obblighi politici del suo incarico. E per darne prova ha citato il suo operato da governatore, quando firmò una legge per la vendita di alcolici la domenica, nonostante ciò sia proibito dalla sua fede. D’altro canto, Romney ha buon gioco nel far notare che la sua chiesa non impone direttive agli esponenti politici ad essa affiliati. Tra i mormoni che contano spicca, infatti, il nome di Harry Reid, capogruppo al Senato del partito Democratico.
Abile mediatore, Romney, che gode delle simpatie della famiglia Bush, ha già incassato qualche risultato, incontrando alcuni leader della comunità evangelica incluso l’influente reverendo Jerry Falwell. Ad aiutare l’ex governatore del Massachusetts sono le sue posizioni su temi sensibili per la destra religiosa come aborto, unioni gay e ricerca sulle cellule staminali. Tuttavia, fino ad un recente passato, Romney era su posizioni molto più liberal. Inevitabile perciò l’accusa rivoltagli dagli avversari di essere un flip-flopper, un voltagabbana, la stesso epiteto affibbiato al rivale di Bush alle presidenziali del 2004, John Kerry, che fu sconfitto anche per i suoi eclatanti tentennamenti. Pur di vincere, ha scritto Richard Cohen sul Washington Post del 20 febbraio scorso, Romney sarebbe capace di dichiarare che, in realtà , non è un vero mormone. Dove invece Romney sembra inattaccabile è sul terreno economico. Formatosi nelle prestigiose università di Stanford ed Harward, il cinquantanovenne Romney ha alle spalle una brillante carriera finanziaria. Dopo aver guidato con successo alcune società multimilionarie, nel 1999 ha salvato dal disastro le Olimpiadi invernali di Salt Lake City, scosse da una brutta storia di corruzione che travolse il comitato organizzatore. Quindi, da governatore del Massachusetts è riuscito a ridurre il debito statale senza alzare le tasse. Musica per le orecchie dei fiscal conservative che si sentono traditi dall’amministrazione Bush e chiedono a gran voce un riedizione dell’era Reagan. Romney, sposato con 5 figli e 10 nipoti, sa che può spingere su questo tasto. Così, nei suoi primi spot televisivi mandati in onda nel New Hampshire (prima tappa delle primarie) dichiara assertivo: “Credo che il popolo americano è stato tassato fin troppo. E’ ora di cambiare direzione”. La corsa è appena iniziata, ma Rudy Giuliani e John McCain compierebbero un grave errore se pensassero che la nomination repubblicana fosse una partita a due.