Un nuovo mercato del lavoro è possibile con la riforma dell’art. 41

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Un nuovo mercato del lavoro è possibile con la riforma dell’art. 41

08 Febbraio 2011

La riforma dell’articolo 41 della Costituzione è l’occasione per correggere le storture esistenti, oggi, sul mercato del lavoro. Ciò che fa da freno alla libertà di assumere con rapporti di lavoro a tempo indeterminato (rapporti “stabili”), infatti, è soprattutto tutta quella normativa a carattere protettivo (licenziamenti, trasferimenti e via dicendo) di derivazione proprio dall’articolo 41. Queste storture producono un duplice effetto negativo: deprimono lo sviluppo di un’occupazione non precaria e guardano con scarsa attenzione – quindi offrendo basse tutele – ai soggetti senza impiego.

Nei primi due commi, l’articolo 41 stabilisce che «(1) l’iniziativa economica privata è libera» e che tale iniziativa economica «(2) non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Soffermiamo l’attenzione sul principio recato dal secondo comma. Questo assunto se da una parte ha permesso di sottomettere ogni rapporto economico ai valori della persona, d’altra parte ha vincolato la legittimità di ogni agire economico alla preminente ragione che non fosse in contrasto con quegli interessi tutelati (utilità sociale e via dicendo). Un vincolo che, nello specifico campo (del rapporto economico) del lavoro, ha significato spianare la strada a normative come lo Statuto dei lavoratori con quelle disposizioni che limitano la libertà d’impresa nelle scelte organizzative e nella gestione del personale (leggasi articolo 18); o a norme limitative come quelle sul trasferimento di lavoratori, sull’esternalizzazione di manodopera, e ancora sui gruppi di imprese (e società). Dunque, il contrario di quanto programmato: perché una maggiore e migliore occupazione certamente eleva la “dignità umana”.

Peraltro va considerato che, in tal modo, l’articolo 41 ha snaturato anche la vera identità della carta costituzionale in tema di occupazione e lavoro, perché è stato di ostacolo alla svolta rivoluzionaria che reca l’articolo 4 della Costituzione. Tale articolo avrebbe dovuto consentire, rispetto al passato, di attribuire un carattere universale al principio del diritto al lavoro; perché è un principio che guarda a “tutto” il lavoro: a quello già creato (occupati) e a quello ancora in stato embrionale (lo status dei disoccupati in attesa di lavoro). Così, invece, non è stato. E oggi, più per intransigenza ideologica che per razionale giustificazione, continua a vivere un diritto del lavoro finalizzato a tutelare solo e soltanto il lavoro esistente, e solo e soltanto quello di tipo dipendente (subordinato), con sempre minor attenzione alla creazione di nuova e, soprattutto, migliore occupazione. E’ vero che il lavoro non si crea per legge; ma la legge può (eccome se può!) frenare il lavoro.

Ciò che non è avvenuto con l’avvento della Costituzione, dunque, è il concentrarsi del diritto del lavoro su due fondamentali obiettivi: il primo, tradizionale, di tutela del contraente debole, ossia il lavoratore nel contratto di lavoro con un datore di lavoro (l’impresa); il secondo, nuovo, di tutela sociale dei cittadini in quanto tali e non in quanto lavoratori (cioè già con un posto di lavoro in tasca). Perché il diritto del lavoro si è, invece, concentrato soltanto sulla cittadella del “posto fisso”, escludendo da ogni tutela le generazioni di outsider e di precari (realizzandosi, così, solo a metà).

In conclusione, intervenire sull’articolo 41 e correggere le storture del mercato del lavoro può voler dire affidare il ruolo preminente alla domanda di lavoro (delle imprese) rispetto all’offerta di lavoro (dei cittadini). Perché, quando la domanda di lavoro è scarsa, l’occupazione diventa tecnicamente impossibile. Cioè diventa non-possibile non perché non voluta dalle imprese, ma in quanto non sostenibile dalle aziende. Per risolvere la questione va individuato un giusto peso ai principi dettati dai primi due commi dell’articolo 41 della Costituzione. Una volta messi in equilibrio, l’obiettivo del diritto del lavoro si sposterà dal contratto di lavoro (che indica lavoro già creato) al mercato del lavoro (dove, invece, c’è soprattutto il lavoro perso e quello mai avuto: disoccupati e inoccupati). Per dirla tutta, un’evoluzione (del diritto del lavoro) in diritto del mercato del lavoro.

Mercoledì, dunque, sul tavolo del Consiglio dei Ministri ci sarà la possibilità di riflettere anche sulle sorti del mercato del lavoro. Quando la scorsa settimana il premier, Silvio Berlusconi, ha annunciato la volontà di una riforma costituzionale dell’articolo 41, ha detto che “bisogna liberare definitivamente l’Italia dalla mentalità assistenzialista e statalista che deprime lo sviluppo, ostacola gli investimenti e la creatività dei mercati, distrugge ricchezza e lavoro, minaccia il futuro delle giovani generazioni”. Non resta che sperare che l’annuncio sia presto promessa. E soprattutto realtà.