Un patto federativo per il Centrodestra

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Un patto federativo per il Centrodestra

13 Settembre 2016

Come nelle migliori famiglie anche nel centrodestra è iniziata una sorta di poco appassionante confronto sull’eredità politica di Berlusconi e sulla leadership dello schieramento. Una serie di di dichiarazioni non molto gentili di cui è stato oggetto anche Stefano Parisi – da quando l’ex candidato sindaco di Milano ha fatto capolino nel confuso parterre dell’attuale politica nazionale – hanno subito messo in chiaro la delicatezza della situazione. In verità, questo non molto appassionante contenzioso ha un suo piccolo “peccato originale” con, in aggiunta, alcuni corollari: esiste oggi un centrodestra politicamente intellegibile? Quale la sua identità? Ancora più chiaramente. Esiste un progetto complessivo del centrodestra rispetto alla realtà attuale? Ha senso una contrapposizione sulla leadership in mancanza del contenuto, dell’oggetto su cui esercitare la propria capacità di governo? 

Crediamo seriamente che basti riverniciare la macchina, trovare un altro autista e inveire contro il mondo per ricreare l’alternativa di centrodestra? Ne dubitiamo fortemente se non c’è un progetto credibile, condiviso, capace di leggere ciò che è stato per poi indicare un futuro che non sia più all’impronta dell’improvvisazione, sprecando la evidente crisi di credibilità di Renzi e la possibile implosione del fenomeno, sempre più da baraccone, dei 5 stelle. Si può anche raccogliere qualche successo momentaneo, cavalcando la rabbia che sembra essere divenuta la cifra esistenziale degli italiani, ma, come dimostra l’attualità dei pentastellati, tutto questo è combustibile destinato a bruciare in un attimo. Ed allora, strada obbligata è investire seriamente sui contenuti, sulla proposta, su un progetto riformista credibile sul quale aprire il confronto con la società nelle sue diverse articolazioni.

Senza questa capacità, senza questa dimostrazione di umiltà e messa in discussione di noi stessi, si rimarrà alle schermaglie da cabaret, sia sul fronte interno che esterno, inchiodati a temi ed argomenti lontani anni luce dall’interesse, dai problemi della gente comune. E’ urgente aprire un dibattito a trecentosessanta gradi, coinvolgendo tutti coloro che sono interessati. Ritessere il rapporto con la società civile, offrendo occasioni di dialogo aperte e paritetiche. Umiltà, disponibilità, comprensione di una realtà fortemente mutata sono le tre indispensabili precondizioni per affrontare un percorso nel quale riconquistare una credibilità lesionata da milioni di elettori in libera uscita, delusi e, talvolta, addirittura schifati. Avendo anche un occhio e più di una attenzione alle tempistiche, perché ogni giorno perso in più, rischia di porci fuori tempo massimo. 

Quindi, no ad un centrodestra che sia la brutta copia dei 5 stelle, piuttosto che del riformismo “vorrei ma non posso” del PD. Ma soprattutto no ad un centrodestra che sia la riproposizione di vecchi schemi. Meglio, allora, garantire ad ogni attore politico protagonista una propria autonomia all’interno di un patto federativo che si riconosca in un “fil rouge” programmatico, permettendo a chi ha voglia, gambe e fiato di articolarsi e strutturarsi. È nella ricerca di questa identità e sul confronto con essa che il centrodestra deve, innanzitutto, operare. Non con operazioni di palazzo ma cercando il costante rapporto con i cittadini e quelle articolazioni civiche che intercettano sempre più la volontà di una partecipazione attiva. 

Politica e civismo devono stabilire un contatto forte, di vivificazione e funzionalità. Infatti, mentre la politica senza rapporto con il dinamismo dei fenomeni civici rischia di insterilirsi e divenire autoreferenziale, il civismo senza politica può assumere connotati caotici, contraddittori, non rispondenti ad un ordito di fondo, creando disorganicità e confusione. Perché la semplice sommatoria di instanze provenienti dal basso non fanno una politica. E di questa, a dispetto dei tempi e dei facili luoghi comuni, ci sarà sempre bisogno.