Un Pd in cerca d’identità non può fare breccia neppure nel suo elettorato

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Un Pd in cerca d’identità non può fare breccia neppure nel suo elettorato

18 Agosto 2010

Il nuovo fronte della resistenza democratica si è sciolto come neve al sole. La “Prospettiva Brancher”, ovvero la speranza di far scivolare il governo e la maggioranza su un voto parlamentare di sfiducia, si è infranta sulla mossa a sorpresa del ministro che ha preso in contropiede i vertici del maggiore partito d’opposizione e ha passato la mano. Un ribaltamento del tavolo del dibattito del tutto inatteso.

E così adesso, l’attenzione degli apocalittici, ovvero di tutti coloro che già sono impegnati a dissertare sulla composizione di un possibile, futuro governo tecnico senza premurarsi di appurare se quello in carica davvero cadrà, è tutta concentrata sull’altro fronte della speranza: la riforma delle intercettazioni. Ma tra dichiarazioni roboanti e proclami vari, la sensazione e il sospetto è che anche il nuovo fronte polemico possa depotenziarsi attraverso lo scorrere dei lavori parlamentari.

Niente di nuovo sotto il sole, dunque. La stagione dell’immobilismo antiberlusconiano continua e sullo schermo politico ritorna ad essere proiettato il solito film buono per tutte le stagioni: quello in cui si proclama la fine della stagione del centrodestra nella sua configurazione attuale e si cerca di infondere coraggio alla propria gente aggrappandosi a fantomatici terzi poli, peraltro evitando come fosse la peste l’ipotesi di un ricorso alle urne in caso di crisi. Una strategia che fatica a fare breccia nelle pieghe e negli umori dell’elettorato visto che i sondaggi continuano a dare il Popolo della libertà assestato sul 37% delle intenzioni di voto, il Pd al 26%, l’Idv intorno al 7,5%; l’Udc sul 6-7% e la Lega al 10-11%.

La perfetta sintesi di questa strategia dell’immobile speranza è sintetizzata bene dall’intervista concessa pochi giorni fa da Enrico Letta all’Unità. “Faccio un appello a tutte le opposizioni: far cadere il governo è la priorità e uniti possiamo farcela, a partire dalle mozioni su Brancher”. Esclude un governo con Pd e Pdl? “Escludo una cosa sola: un nostro governo insieme a Berlusconi”. “Quando il governo cadrà non ci tireremo indietro dalle responsabilità per il bene del paese, ben sapendo che il pallino sarà nelle mani di Napolitano”. Non chiederete il ritorno alle urne? “Dipende dagli scenari”.

Se Enrico Letta resta nei territori consueti, Pier Luigi Bersani si muove, perlomeno fisicamente. E dopo il viaggio in Cina a maggio, si prepara a partire per gli Stati Uniti (11-17 luglio) mentre alla fine dell’ anno andrà in un altro colosso mondiale ed emergente: il Brasile. Il tentativo è quello di compiere il salto di qualità, di trasformarsi da tecnico in leader. A Washington avrà incontri al Dipartimento di stato e al Pentagono. Vedrà la speaker del Congresso Nancy Pelosi, altri parlamentari democratici e alcuni Obama boys. A New York il programma prevede colloqui all’Onu e al Fondo Monetario con il numero due John Lipsky, responsabile del G8, ormai da tempo in prima linea nella lotta alla crisi globale. Non mancherà la visita a Mario Cuomo e un omaggio a Ground Zero dove Bersani vedrà le associazioni delle vittime.

Sullo sfondo di un partito che continua a inseguire una propria identità si agitano poi i fantasmi della nostalgia. Questa volta è il presidente dell’assemblea della Margherita, Enzo Bianco, a far baluginare l’immagine sfocata di un ritorno al passato. “Il mese scorso è stata convocata per l’approvazione del bilancio, ma presto l’assemblea federale della Margherita potrebbe tornare a riunirsi per parlare di politica” preannuncia Bianco. “Ho ricevuto nei giorni scorsi alcune richieste per convocare un’assemblea federale della Margherita, ‘Democrazia e Libertà’". “Si chiede di discutere della situazione politica e del Partito Democratico", precisa. "Nei prossimi giorni avrò alcuni incontri per valutare dunque l’opportunità di convocare l’assemblea federale". Una prospettiva che lascia intravedere un possibile giro d’orizzonte con esponenti del Pd che un tempo facevano riferimento al partito popolare e ai Ds. La Margherita, infatti, è confluita tre anni fa nel Pd, ma ufficialmente si scioglierà solo il prossimo anno.

Un richiamo della foresta a cui risponde subito Arturo Parisi. “’A tre anni dalla sospensione delle attività del partito – dice Parisi – l’Assemblea può essere tuttavia una occasione preziosa e importante per valutare assieme, senza calcoli ne’ pregiudizi, se il ”nome nuovo” del Pd corrisponde a quel ”partito nuovo” per il quale avevamo alla Margherita dato vita e poi dato morte”. E se Sandro Gozi giudica positivamente l’idea di una riconvocazione, sia pure al riparo da tentazioni nostalgiche, arriva Dario Franceschini a spezzare il filo della tentazione. “La Margherita non esiste più. L’assemblea federale è un organismo che si riunisce solo per gli adempimenti formali previsti dalla legge. Non ha senso riunire un organo per una discussione politica di un partito che non esiste più”.

Uno stop dai toni perentori necessario a gettare acqua sul fuoco delle tentazioni nostalgiche e tenere a freno i malumori dell’area cattolica, sempre più desiderosa di declinare la propria diversità rispetto a un partito egemonizzato dall’anima ex diessina.