Un piano di ristrutturazione potrebbe far rinascere la Grecia dalla crisi
31 Maggio 2011
"Time is running out", il tempo sta per scadere. Con questa frase la Commissione Europea, per bocca del commissario agli affari economici Rehn, ha avvertito i governanti della Grecia che spazio per temporaggiare sulla misure anticrisi che il paese ellenico deve al più presto adottare non ce ne sono più.
Negli ultimi giorni i governanti della maggioranza e dell’opposizione non sono riusciti a trovare un accordo relativo alle misure da adottare per poter riportare la finanza pubblica greca sui binari della sostenibilità. Questa settimana, i rappresentati del Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Europea scriveranno un rapporto nel quale verranno descritti gli sforzi intrapresi per riportare le finanze pubbliche sotto controllo e un giudizio in merito agli obiettivi raggiunti. Da questo rapporto si dovrebbe capire con più chiarezza la dimensione effettiva della crisi e le soluzioni da adottare. Le quali sono tre.
La prima, la concessione di un nuovo prestito basato sul modello del prestito da 110 miliardi di euro dello scorso anno, che per il Financial Times, dovrebbe ammontare a circa 60-70 miliardi in due anni. La concessione del prestito sarebbe subordinata ad un nuovo e più gravoso piano di austerity che passerebbe per un ridimensionamento dell’intero apparato pubblico, da realizzarsi mediante licenziamenti, maggiori tasse e privatizzazioni. La seconda, la ricostruzione del debito, più o meno soft, consistente in una rinegoziazione delle scadenze, in maniera da alleviare l’incombenza del servizio nel breve periodo. La terza, l’uscita della Grecia dall’Euro ed il ritorno alla dracma, con conseguente svalutazione della stessa per aumentare la competitività dei prezzi dei prodotti e servizi.
La prima soluzione viene sostenuta dalla BCE, che vede con preoccupazione le altre due ipotesi, per via dei loro potenziali effetti negativi sui mercati finanziari – si pensi alle conseguenze sul sistema bancario, per effetto della rideterminazione del valore dei portafogli delle banche che detengono i sirtaki bonds – e valutari, per effetto della perdita di credibilità che avrebbe la moneta comune a seguito di una uscita della Grecia dal club dell’Euro. Tuttavia, nelle ultime settimane, numerosi economisti hanno cominciato ad argomentare che la concessione di nuovi prestiti non rappresenta la soluzione preferibile. Gli effetti positivi emersi a seguito della concessione del prestito da 110 miliardi di euro sono stati quasi nulli. Perché un nuovo prestito, fra l’altro di minore importo, dovrebbe risolvere il problema? In molti non se lo riescono a spiegare.
A peggiorare le cose, si pensi inoltre a come l’obiettivo del ritorno della Grecia sui mercati per finanziare il proprio debito, previsto per l’anno prossimo, verrà quasi sicuramente disatteso. Secondariamente, sta allungandosi velocemente la lista dei politici europei che si oppongono a nuovi aiuti. Il caso delle recenti elezioni finlandesi insegna. D’altronde, concedere prestiti ad uno stato cattivo pagatore e ad un governo non affidabile non è comprensibilmente un buon argomento politico da spendere nei confronti del proprio elettorato. E in periodi di crisi, i governi pensano giustamente ad indirizzare le proprie risorse verso i problemi dell’economia domestica. Soldi per pensare a quella del vicino non ce ne sono.
Non si capisce poi come sia possibile sperare che il governo greco si voglia accollare l’onere politico di un piano di ristrutturazione lacrime e sangue. In un paese dove gli scontri in piazza tra lavoratori e polizia sono all’ordine del giorno sarebbe difficile spiegare alla popolazione che i licenziamenti pubblici serviranno nel lungo periodo, quando, nel breve, i disoccupati non potranno nemmeno contare su un sistema di protezione sociale adeguato. Certamente, in un ampio orizzonte temporale la liberazione di risorse economiche derivanti dal piano di austerità produrrà effetti benefici sull’intera economia. Ma queste riforme si sarebbero dovute adottare in fasi espansive, quando ancora si avevano risorse per sostenere gli ammortizzatori sociali. Adottare una politica fiscale restrittiva ora, in un periodo di estrema recessione, potrebbe avere effetti deleteri sulla stabilità del tessuto sociale.
Anche l’ipotesi di un’uscita greca dall’Euro sortirebbe drammatici effetti negativi sia sulla credibilità dell’Euro che sull’economia dell’intera Eurozona. Inoltre, la svalutazione potrebbe avere un senso se l’economia greca fosse caratterizzata da un tessuto produttivo molto competitivo sui mercati internazionali. Non è questo il caso della Grecia.
L’ipotesi di ristrutturazione viene lasciata in questo momento come estrema ratio, nel caso un accordo sulla seconda tranche del prestito internazionale non venisse trovata. Eppure, la storia ha dimostrato come le ristrutturazioni di debiti sovrani, quantunque delicate, se studiate bene come lo furono durante il salvataggio degli stati sudamericani alla fine degli anni Ottanta, rappresentano soluzioni vantaggiose per entrambe le parti. Sono una buona alternativa che dovrebbe essere tenuta maggiormente in considerazione.