Un premier senza governo: Hariri e la complicata matassa libanese

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Un premier senza governo: Hariri e la complicata matassa libanese

16 Ottobre 2009

A distanza di più di quattro mesi dalle elezioni del 7 giugno, il Libano è ancora senza un governo. Il premier designato, Saad Hariri, prosegue senza sosta il giro di consultazioni con tutti gli attori politici nel tentativo di dipanare una matassa che sembra di giorno in giorno sempre più ingarbugliata.

Da una parte le richieste dei partiti della coalizione 14 Marzo, uscita vincitrice dalle consultazioni elettorali, dall’altra il fronte del 8 Marzo, in particolare Hezbollah e il Free Patriotic Movement (FPM) guidato da Michel Aoun, che chiedono garanzie e, soprattutto, posizioni chiave nel nuovo esecutivo. Se da un lato si è riusciti a trovare un accordo sulla formula 15-10-5, cioè 15 ministri alla maggioranza, 10 all’opposizione e 5 nominati su indicazione del Presidente Suleiman, che consentirebbe un equilibrio tra le forze politiche evitando poteri di veto da entrambe le parti, dall’altro lato le consultazioni si sono arenate sui nomi dei possibili ministri e sui ministeri da concedere all’opposizione.

Al momento lo scoglio principale sembra essere la richiesta di Aoun di confermare per un secondo mandato il suo delfino, Jebran Bassil, come Ministro delle Telecomunicazioni. Ma la richiesta si scontra con la promessa fatta da Hariri al suo elettorato di non nominare ministri che non siano stati rieletti, e proprio Bassil è stato battuto alle elezioni nel suo feudo, la città di Batroun. Ma è chiaro che per quanto il Ministero delle Telecomunicazioni rappresenti un punto cardine nella strategia dell’opposizione (basti ricordare ciò che successe nel maggio 2008 quando una decisione del Ministero di interrompere la linea privata di Hezbollah scatenò la reazione del Partito di Dio e delle sue milizie armate), tuttavia non può essere semplicemente un “nome” a bloccare la formazione del nuovo governo. Non a caso martedì il leader delle Falangi Libanesi, il cattolico-maronita Amin Gemayel, ha dichiarato che “la richiesta da parte dei gruppi dell’opposizione di ottenere la nomina di determinate persone a specifici ministeri non è altro che un pretesto per mascherare la loro determinazione ad evitare la formazione di un nuovo governo”.

Evidentemente le opposizioni mirano a logorare la figura di Hariri, per indebolirlo, anche agli occhi dell’opinione pubblica. E infatti il leader delle Forze Libanesi (Lebanese Forces, LF), Samir Geagea, ha sollecitato il premier designato ad assumersi le sue responsabilità e superare l’attuale impasse procedendo autonomamente alla formazione di un nuovo Gabinetto. Geagea ha ben compreso la situazione e sa benissimo che le opposizioni stanno giocando al “poliziotto buono – poliziotto cattivo”. Hezbollah apparentemente resta in disparte, mantenendo posizioni insolitamente moderate (come dimostrano le dichiarazioni molto soft degli ultimi mesi), e lascia che sia il Free Patriotic Movement a fare la voce grossa con l’obiettivo di spaccare il fronte cristiano.

D’altronde, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, può permettersi di mantenere un basso profilo sapendo che il suo ruolo all’interno dell’opposizione è pienamente riconosciuto e non viene messo in discussione, così come la sua rappresentatività nei confronti del mondo sciita. Inoltre sembra che il Partito di Dio abbia ricevuto ampie rassicurazioni che il nuovo governo non metterà in discussione la sua struttura militare (probabilmente non ne avrebbe comunque la forza). E così Nasrallah aspetta, paziente, dietro le quinte, in attesa che si risolva l’impasse.

Naturalmente, come sempre quando si parla di politica libanese, anche in questo caso si intrecciano interessi interni e pressioni esterne. Non c’è dubbio, infatti, che per quanto la formazione del nuovo governo possa apparire un affare interno al paese dei cedri, tuttavia le posizioni di Siria, Iran, Arabia Saudita, Egitto, influiscono pesantemente su tutto il processo in atto. La diplomazia internazionale è quindi in piena attività, soprattutto dopo la storica visita di Re Abdullah a Damasco. Riyadh, col supporto di Washington, preme sul presidente siriano Assad perché allenti il suo legame con l’Iran, ma per il momento questi sembra solo voler continuare a prendere tempo, giocando al rialzo. Proprio come i suoi alleati di Beirut.