Un ritardo inspiegabile

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Un ritardo inspiegabile

Un ritardo inspiegabile

06 Gennaio 2010

Concerto per sestetto di liuti, autori noti (Gabrieli, Kapsperger, ecc). Bei brani, un po’ come possono essere belli i disegni dei bambini. Ti sforzi di pensare alle manine inesperte che ci hanno lavorato, e te li fai piacere. Poi vai a guardare la data delle composizioni: fine ‘500, inizio ‘600, e ti prende un colpo. A rifletterci, troviamo il fatto inspiegabile, il ritardo esagerato, l’assenza ingiustificata.

Perché quelli che abbiamo ascoltato il 20 novembre 2010 nella Basilica dei Santi Apostoli a Roma sono i primi vagiti di un’arte ancora sprofondata nell’infanzia, in un’epoca in cui tutte le altre erano più che mature. La pittura, cominciando da Giotto trecento anni prima, aveva scoperto la prospettiva, era arrivata a giganti come Leonardo, Raffaello, Tiziano. L’architettura e la scultura lo stesso: la cupola di Brunelleschi a Firenze, Palazzo Farnese, San Pietro, la Pietà di Michelangelo. La letteratura e la poesia con Dante, Petrarca, Tasso. Colombo era arrivato in America da un secolo. E la musica? Qualche strimpellata, melodie scarne e ripetitive, accompagnamenti miseri, strumenti afoni o stonati. Una povera pastorella alla corte del re.

Ma come mai la musica è da sempre così in ritardo? Come mai dall’antichità classica non ci è arrivato niente, se non qualche bassorilievo con flautisti e tamburelli, mentre c’erano già Catullo e Cicerone, il Panteon e il Colosseo. Perfino della pittura, di cui naturalmente non è rimasta traccia (troppo fragili i supporti) tranne gli affreschi, almeno conosciamo una firma famosa, Apelle. E’ vero che non c’era la notazione musicale, ma anche questo, perché? Come mai gli inventori di una lingua così raffinata come il latino, di un’epigrafia con i caratteri più armoniosi del mondo, ancora oggi usati perfino nel computer, non hanno rivolto un pensiero alla musica, al modo di conservarla? Evidentemente perché la musica non contava un piffero!

Certo, un suo svantaggio rispetto alle altre arti c’è. Una volta dipinto un quadro, una volta scolpito un marmo, una volta scritto un libro, l’opera è lì, e lì rimane, a disposizione di tutti. La musica ha bisogno di un passaggio supplementare, l’esecuzione; e questo ha sempre rappresentato un problema, finché, con il consueto ritardo, si è trovato il modo di conservare il suono, e quindi la musica non solo scritta, ma anche eseguita. Ma prima è stato necessario scoprire l’elettricità.

Anche la terminologia è in ritardo. Noi chiamiamo barocchi Bach o Haydn che componevano in un periodo in cui lo stile barocco era più che trapassato, soppiantato dal rococò, e con il neoclassico in arrivo.

Oggi per fortuna la tecnologia, con il suo balzo, insospettabile fino a pochi anni fa, favorisce proprio la musica. Era ora. Con il computer si riesce a stampare le partiture senza dover più scrivere a mano note e pause, si può intervenire su qualsiasi suono modificandolo, moltiplicandolo, reinventandolo. Si arriva perfino ad aggiustare la stonatura di un cantante disegnando la sua onda e spostandola con una matitina elettronica.

Questa euforia tecnologica ha provocato negli anni scorsi una specie di ubriacatura dovuta all’onnipotenza ormai alla portata di tutti. All’improvviso era possibile a chiunque fare rapidamente, con il minimo ingombro di spazio, e a tutte le ore, qualsiasi tipo di musica, imitando la grande orchestra o creando suoni nuovi. Ci siamo dovuti sorbire una scorpacciata di finti archi, finte sezioni di ottoni, finte voci e coretti, prima scadenti, poi sempre più (addirittura troppo) accurati. Tanto è vero che per dare alle registrazioni un pizzico di verità era diventato necessario sovrapporre almeno uno strumento vero che con il suo anche minimo sfasamento rispetto all’implacabile perfezione dell’elettronica suggerisse un respiro umano.

Per fortuna, come tutte le sbornie è durata poco. Precisamente fino al momento in cui ci si è resi conto che, come sempre, a prescindere da qualsiasi trattamento, quello che conta sono le idee.

Da un po’ di tempo si va di nuovo bene, con un mucchio di seccature in meno (partiture da copiare, nastri che si spezzano, orari di sala, proteste dei vicini) e uno strumento in più: il computer.

L’archivio del Cavalier Serpente, o meglio la covata di tutte le sue uova avvelenate, sta al caldo nel blog. Per andare a visitarlo basta un click su questo link: http://blog.libero.it/torossi