Una Cina “vecchia” non può ambire al trono di superpotenza economica

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Una Cina “vecchia” non può ambire al trono di superpotenza economica

05 Febbraio 2011

Nel 2030 la Cina potrebbe essere troppo “vecchia” per sedere sul trono di superpotenza mondiale. La Repubblica Popolare asiatica sta iniziando, infatti, a pagare lo scotto di più di 30 anni di politiche per il controllo delle nascite. Questo gap potrebbe far dormire sonni tranquilli agli Stati Uniti – attualmente prima economia globale – che al contrario, stanno registrando un incremento sano e regolare della popolazione.

Come conseguenza della politica “del figlio unico” introdotta nel 1979 per volere di Mao Zedong, la Cina ha registrato negli ultimi 20 anni un livello di sub-fertilità che ha portato a una media attuale di appena 1,5 figli per donna. Quindi si troverà a fronteggiare il problema – del tutto inconcepibile qualche decennio fa – del deficit demografico. Questo, ovviamente non potrà che tradursi in una considerevole diminuzione della quantità di giovani lavoratori – si prevede un blocco nell’aumento della forza lavoro con un periodo di declino a partire dal 2013 –, che tendono ad avere più energia, ad essere più istruiti e ad avere una conoscenza nettamente superiore delle nuove tecnologie. Nei prossimi 20 anni, questo gruppo – che rientra nella fascia d’età 15-29 anni – è destinato a scendere di circa il 30%. Un dato allarmante.

Questo fenomeno, ovviamente, andrà di pari passo all’incremento dei cittadini anziani (solo nel 2010 si è registrata la presenza di circa 115 milioni di over 65), nati nel periodo precedente all’introduzione di queste politiche per la pianificazione familiare. Ma ciò che spaventa maggiormente è che entro il 2030 questo numero è destinato ad aumentare esponenzialmente, fino a raggiungere i 240 milioni di persone. Una cifra che preoccupa parecchio dato che la si registra in un paese che non presenta sistemi sanitari e di pensionamento nazionali.

Ma si comprende con più chiarezza la portata dei problemi sociali ed economici che potranno presentarsi nei prossimi decenni se si tiene conto che la politica sul figlio unico – divenuta nel 1980 parte integrante della legge sul matrimonio – ha esasperato la disparità tra i sessi, con un rapporto di sei uomini per ogni cinque donne. Fonti governative prevedono che nel 2020 almeno 40 milioni di uomini cinesi non riusciranno a trovare moglie, con effetti importanti sull’ordine sociale e con il rischio di alimentare il mercato dei matrimoni combinati all’estero o addirittura la tratta delle spose. Da qui l’aumento della tensione sociale, giacché sembra dimostrato che in una società con meno donne i conflitti siano potenzialmente più numerosi.

Con una prospettiva del genere diventa più complicato pensare che la Cina potrà economicamente spodestare gli Usa. È vero che la crisi finanziaria del 2008 ha indebolito le fibre americane e che il debito federale avrà il suo peso sul Pil. È vero anche che, secondo Goldman Sachs, a partire dal 2027 la Cina – che negli ultimi tre decenni ha già evidenziato un’incredibile crescita – sorpasserà gli Stati Uniti in termini di Prodotto interno lordo. Ma il ‘fardello’ demografico rappresenta il vero ago della bilancia per l’assegnazione del primato economico mondiale.

A sorpresa, infatti, secondo le proiezioni datate 2008 dello US Census Bureau, la popolazione statunitense è destinata ad aumentare del 20% (310-374.000.000) tra il 2010 e il 2030, periodo in cui quasi ogni fascia d’età all’interno della nazione si allargherà. Questo, ovviamente, è il risultato di una volontà di produrre più i bambini. A dispetto del drastico calo registrato in Cina o in Europa, la fertilità americana è rimasta invariata e, se continuerà a mantenere il ritmo attuale, nel corso dei prossimi due decenni, gli Stati Uniti potranno beneficiare di un avanzo di 35 milioni di nascite sulle morti. Da non trascurare anche il fattore immigrazione che ‘rimpinza’ con un importante 40% il tasso di crescita della popolazione made in Usa.

Pechino riuscirà a strappare il ‘trono economico’ a una Washington che, per livello di sicurezza sociale e regolarità nel ricambio generazionale, sembra essere maggiormente pronta ad affrontare le sfide del XXI secolo? Potenzialmente sì. Ma prima dovrebbe, conti alla mano, riassestare gli equilibri demografici nel modo inverso rispetto a quanto fece trent’anni fa.