Una commissione parlamentare per fare il punto sulla stagione dei Pentiti

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Una commissione parlamentare per fare il punto sulla stagione dei Pentiti

30 Aprile 2010

Il filo rosso degli interventi che si sono susseguiti durante il Convegno "Pentiti dei pentiti?", organizzato ieri dalla Fondazione Magna Carta a Roma, è stato, senza dubbio, quella della "professionalità". Richiesta ai magistrati che utilizzano i collaboratori di giustizia, al mondo politico che deve legiferare sulla questione, agli organi di informazione che a volte scontano una eccessiva spettacolarizzazione delle dichiarazioni rese dai collaboranti.

Al centro dei lavori, la proposta avanzata dal Senatore Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del PdL al Senato e presidente onorario della Fondazione Magna Carta: "Dobbiamo chiederci se una Commissione parlamentare d’inchiesta per verificare aspetti controversi dell’applicazione di una legge dello Stato non possa servire a maturare maggiori consapevolezze e contribuire a restituire credibilità a uno strumento di indagine in parte inficiato dall’uso improprio che ne è stato fatto". Per affrontare "laicamente" la questione, ha detto il Senatore concludendo il suo intervento.

Secondo il Professor Giorgio Spangher, Ordinario di Procedura Penale all’Università La Sapienza di Roma, sarebbe necessaria una "igiene definitoria" quando ci si avvicina al fenomeno del pentitismo, un uso corretto delle parole, che distingua, un esempio per tutti, i collaboratori dai testimoni di giustizia. Più in generale, è difficile governare il fenomeno del pentitismo perché tutti gli argini posti dalla Legge 45 del 2001 sono in qualche modo aggirabili.

"Credo che bisogna essere aperti all’ascolto ma nello stesso tempo essere sempre diffidenti verso i collaboratori", ha detto Franco Roberti, Procuratore della Repubblica di Salerno, difendendo l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche e ambientali, utili a verificare le dichiarazioni dei pentiti e a trovare nuove prove contro le organizzazioni criminali. Il procuratore ha fissato alcuni punti fermi sulla gestione del pentito. La sicurezza per il collaboratore e i suoi familiari, il rispetto delle garanzie per chi viene coinvolto nelle dichiarazioni, gli eventuali premi, la "modalità di raccolta e gestione delle informazioni che a volte in questi anni non ha funzionato". Roberti ha messo in guardia dai "buchi" nella sicurezza informatica, dallo scambiarsi con troppa facilità file riservati con le dichiarazioni dei confidenti, quando sono ancora segrete.

Stefano Dambruoso, magistrato in forze alle Attività Internazionali del Ministero di Giustizia, ha offerto una comparazione fra il fenomeno del pentitismo in Italia e quello che è avvenuto in altri Paesi, in particolare Stati Uniti e Gran Bretagna. Nel mondo anglosassone sono l’FBI e Scotland Yard a fare la parte del leone nella gestione del pentito, c’è quindi una "prevalenza delle forze dell’Ordine" e i pubblici ministeri tendono a rimettersi alle forze di polizia. "Grande importanza viene anche data alla valutazione psicologica dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari". Sia agli americani che agli inglesi, questa l’impressione di Dambruoso, "sfugge l’aspetto politico della questione, la gestione ‘politica’ dei pentiti". In ogni caso ciascun Paese ha delle sue proprie peculiarità: Dambruoso cita i "passi da gigante" fatti dalla Colombia nel recupero della legalità, nel garantire maggiore sicurezza ai giudici e ai collaboranti.  

Secondo Nicolò Zanon, Ordinario di Diritto Costituzionale alla Università Statale di Milano, l’esigenza di una Commissione d’inchiesta sui pentiti diventa tanto più attuale nel momento in cui si denuncia lo svuotamento di potere del Parlamento. Nello stesso tempo, si chiede provocatoriamente il professore, se in Italia c’è l’obbligatorietà dell’azione penale perché non si agisce contro coloro che fanno uscire le informazioni dalle procure scatenando il teatrino mediatico? 

Luciano Violante, già Presidente della Camera e Presidente della Fondazione "Italia Decide", ha incentrato il suo intervento sul senso stesso del pentitismo. "Dovremmo essere soddisfatti o preoccupati che si rompa la solidarietà criminale"? Certamente soddisfatti, e Violante ha ricordato quanti collaboratori di giustizia hanno pagato con la vita la loro scelta. Il punto di fondo resta quello di capire "come fare a penetrare nelle organizzazioni criminali". Infine un richiamo alla deontologia dei giornalisti, "un problema che abbiamo tutti e che è delicatissimo".

Il senatore del Pdl Luigi Compagna, membro del Comitato Scientifico di Magna Carta, ha ricostruito le varie fasi della legislazione sul pentitismo, dalle Brigate Rosse alla lotta alla Mafia, che di passaggio in passaggio hanno "allargato le maglie delle disposizioni legislative portando a una legittimazione delle patologie". Da qui la proposta, avanzata già in passato dal Senatore, di istituire una Commissione Parlamentare d’inchiesta sul pentitismo. "Si potrebbe dare nuova freschezza agli strumenti come l’Antimafia".

Infine l’intervento di Alfredo Mantovano, Sottosegretario al Ministero dell’Interno e Presidente della Commissione sui programmi di protezione per collaboratori e testimoni di giustizia, che, dati alla mano, ha ricostruito con attenzione quanto costano i pentiti e come vengono gestiti dalle autorità. Dopo aver periodizzato il fenomeno del pentitismo (la nuova legislazione sui confidenti nata a ridosso delle stragi dei primi anni Novanta, la Legge 45 del 2001, gli ultimi dieci anni), Mantovano ha detto che "i fatti smentiscono che la Legge del 2001 ha influenzato un decremento quantitativo e qualitativo del pentitismo". Un elenco di nomi, da Francesco Campanella a Vincenzo Consolo, che mostrano quanto è servito l’uso dei pentiti negli ultimi anni, e quanto può ancora servire non solo sul fronte, più consueto, del contrasto alla criminalità organizzata, ma anche in quello della lotta al terrorismo internazionale.