Una commissione su lavoro e immigrazione anche con la sinistra “extraparlamentare”
07 Maggio 2008
Il risultato elettorale ha dimostrato un fatto di cui poco si parla: né il PdL,
né il Pd hanno saputo cogliere il vero polso del paese sul tema scottante del
momento: l’immigrazione. La Lega invece lo ha saputo fare, a tal punto, che in
tutto il Nord ha eroso voti non solo alla sinistra, ma alla stessa Fi più An. Questo dato di fatto è fondamentale perché dimostra che la forma partito di cui
oggi si parla e a cui oggi si lavora, non funziona affatto bene anche nella
modernissima intuizione berlusconiana del PdL.
E’ facile prendere atto dello sfascio della forma partito retrò di
Rifondazione, dei cespugli della sinistra, così come della crisi di
rappresentanza del sindacato.
Quel che è difficile è costruire un partito del leader – e questa è la strada
obbligata per la modernità – che abbia contemporaneamente la capacità di tenere
aperto il contatto con il paese reale, nelle sue articolazioni più profonde. La
prima prova del PdL è stata eccellente, ma la carenza di rapporto col paese
reale – al di fuori della riprova del carisma di Silvio Berlusconi – è stata
evidente.
Il PdL, ad esempio, ha perso voti al Nord a favore della Lega, perché
– basandosi su strumenti di rapporto con la società insufficienti quali i
sondaggi – ha parlato solo di pericolo clandestini e immigrazione in termine di
sicurezza. La Lega – col suo modo rozzo, ma aderente alla crisi del Nord – ne ha parlato
anche in termini di pericolo per le radici cutturali, per l’assetto della vita
comune. La Lega, insomma, sia pure a modo suo, si è presentata agli elettori
dicendo ”sappiamo bene che il problema è la sicurezza ma anche di come vivono
tra di noi gli operai immigrati regolari, perché i centri storici di Brescia, Genova,
Torino….” sono diventati dei suk. Provvederemo.
Bene dunque al ”partito del leader” e nessuna nostalgia per le ”strutture
territoriali”. Nessuna fiducia, neanche nell’elemento salvifico delle primarie
(unica ricetta a proposito tra i riformisti di sinistra), perché serve solo a
selezionare classe dirigente (e malamente). Le primarie non servono per nulla a
tastare il polso del paese reale sui problemi reali che vive e per di più
possono produrre guasti enormi, come si vede persino là dove sono ancorate
nella tradizione politica col defatigante duello Hillary-Obama che distrugge i
democratici e funziona solo a favore di McCain.
Ma il partito del leader da solo non funziona. Che fare dunque? Suggeriamo un tentativo di uso fantasioso delle istituzioni. Proponiamo che il
centrodestra prenda l’iniziativa, prenda in contropiede la demagogia anticasta
e proponga commissioni d’inchiesta sulle orme di quella classica, che diede
eccellenti risultati, che fu la Commissione d’inchiesta sulle condizioni
dell’agricoltura in Italia del 1881-1886 diretta da Stefano Jacini. Una commissione d’inchiesta che rompa completamente col rito tutto interno al
Palazzo della pletora di sue antecedenti che intasano il Parlamento italiano.
Deve essere innanzitutto finalizzata a un compito extraistituzionale: rimediare
alla mancanza di diritto di Tribuna che ha escluso dal Parlamento la rappresentanza
di settori troppo ampi dell’opinione politica. Deve quindi essere composta
anche da quegli ex parlamentari che hanno sempre dato un eccellente contributo
alla legislazione e che ora sono esclusi dal Parlamento perché della Sinistra
Arcobaleno o socialisti (Zipponi, Bugno, Malabarba per fare solo alcuni nomi). Deve poi soprattutto lasciare Roma. Deve uscire dal Palazzo. Deve convocare le sue riunioni nella sede della Quinta Lega di Mirafiori. A
Porto Marghera. Nella Chiamata del Porto di Genova. A Caserta per i raccoglitori dei pomodori e via dicendo.
Deve fare esattamente quel che fece la Commissione Stasi sullo stato della
laicità in Francia: convocare centinaia, migliaia di sindacalisti, lavoratori,
industriali, immigrati, presidenti di associazioni, operatori sociali….. Deve
tenere sedute pubbliche, aperte, al limite, televisive. Fantasia istituzionale, questo ci vuole. Solo così la forma partito leaderistica può funzionare, se sa modificare le
istituzioni non solo con riforme di struttura, ma riavvicinandole al senso
comune della pòlis, che è stato l’elemento determinante dell’ultima tornata
elettorale.