Una costituente per un nuovo centrodestra
05 Novembre 2010
Ma se neanche sulla relazione di Berlusconi alla Direzione nazionale del Pdl i finiani riescono ad esprimere un punto di vista unitario, come faranno quando si tratterà di sciogliere ben altri nodi?
Me lo chiedo con la curiosità di chi è interessato alle dinamiche del centrodestra, ma anche con l’amarezza nel vedere tanti amici, legittimamente passati con Fli, divisi e confusi (mi scuso con loro per questa valutazione forse un po’ troppo tranchant), nella messianica attesa che qualcosa accada, anche se non sa sanno che cosa. Di staccare la spina non ne hanno voglia, meno che mai desiderano elezioni anticipate, ma neppure hanno intenzione di appoggiare “linearmente” il governo, tanto che quando possono, dispiaceri gliene danno, come è accaduto l’altro giorno in Commissione Bilancio quando hanno votato con l’opposizione mandando sotto il governo.
Se poi passiamo agli aspetti maggiormente legati alla strategia di Futuro e libertà, c’è da restare interdetti. Gli atti fondativi vengono messi in discussione: non tutti, anzi in pochi a dire la verità, hanno condiviso il cosiddetto “manifesto d’ottobre” che dovrebbe costituire la piattaforma culturale del progetto del nuovo partito.
E non saprei quanti, nel bailamme oggettivo nel quale si muovono (come tutti di questi tempi, del resto), sono disposti a definirsi in qualche modo, per esempio “di destra”. Non è una questione marginale, poiché la definizione implica la rivendicazione di storie, esperienze, legami.
Insomma, dove sta Fli e che cosa ne sarà di esso dopo la convention di Bastia Umbra? Vale a dire: dove si collocherà, posto che il politicismo (se conosco i protagonisti) poco si addice al temperamento di una forza che ha comunque le proprie radici, a parte qualche spurio inserimento, in un contesto culturale ed ideologico che non credo possa essere azzerato da un momento all’altro?
Aspetteremo per saperne di più. Vedo comunque (ma non riguarda soltanto Fli) un “confusionismo”generalizzato che certo non induce all’ottimismo.
Ho l’impressione – e non sono il solo – che nel centrodestra in particolare (del centrosinistra è inutile parlare, si discutete finemente addirittura di “rottamare” i dirigenti ed anche su questo dal Pdl non è venuta fuori neppure una blanda riflessione: segno dei tempi) siano saltati i centri nevralgici dove ci si sarebbe attesa una qualche rinascita del “sogno” politico.
Nessuno sa più con chi sta e, quel che è peggio, che cosa può fare in un partito che da un momento all’altro potrebbe essere chiamato all’ennesima campagna elettorale. Come spiegare alla gente che la più vasta maggioranza del dopoguerra sia implosa per motivi impolitici, difficilmente comprensibili agli addetti ai lavori, figuriamoci ai cittadini che non desiderano altro se non di essere governati? Bella domanda, si dirà, alla quale, malauguratamente non c’è risposta. Come non c’è risposta al perché il Pdl, dopo gli scossoni degli ultimi mesi, sembra attestato nel difendere l’indifendibile, cioè il proprio immobilismo.
Ma Berlusconi non aveva immaginato una road map per il movimento in vista di un suo rilancio? Nel discorso alla direzione, mi sembra che, al di là di qualche fugace accenno al solito partito “elettorale”, non abbia detto molto di più. E poco o niente abbiano detto gli altri. Ma davvero qualcuno pensa di slegare la prospettiva della governabilità a quella del movimento che dovrebbe garantirla?
Resto davanti a questo interrogativo sconcertato. E mi chiedo se non sia il caso di indire, al di là dei congressi provinciali che cominceranno nel luglio del prossimo anno e culmineranno l’anno successivo in quello nazionale (un’eternità), una conferenza programmatica, un forum aperto a politici ed intellettuali che dia il senso di una costituente necessaria per fare del Pdl un soggetto aperto alle nuove frontiere del sapere che impatterà certamente sulla politica.
La stanchezza che registriamo è frutto di pressappochismo. C’è un mondo che si muove al di fuori del politicismo in maniera frenetica: s’interroga sulle ragioni della vita e della morte, sulla scienza applicata alle grandi questioni climatiche e biologiche, alle identità religiose e culturali, ai movimenti di popoli che reclamano visibilità e considerazione, alle nuove tecnologie che propagano informazione e conoscenza dispiegando materiali inediti, fino a poco tempo fa considerati fantascientifici. Un partito ha voglia o no di entrare nel Terzo Millennio? Una costituente. Ecco, potrebbe essere un’idea per discutere di come la politica cambia e insieme ad essa chi vuole cavalcare la modernità spingendosi verso l’ignoto senza dimenticare i principi.
Non credo ci sia molto altro da fare. Oltre, naturalmente, precludersi l’avvenire soggiacendo al sortilegio dell’immobilismo. Facciamo danzare le idee, come farebbe uno Zarathustra tarantolato dall’ossessiva musica sufi. Non è un sogno di mezzo autunno. Ve lo assicuro.