Una cura per la malattia del mondo arabo
18 Maggio 2007
L’esempio personale è sicuramente il modo più forte di trasmettere agli altri un’idea, un valore o un desiderio. Se si vuole coinvolgere qualcuno in un’impresa, in un lavoro o in un percorso al quale si tiene particolarmente, l’esempio personale varrà più di ogni altro espediente, senza dubbio più di un ordine, più di qualsiasi parola. In letteratura, il canale da cui è possibile far passare un esempio personale è quello della autobiografia. Mettendosi in gioco, rivelando se stessi, i propri sentimenti, le proprie idee e il proprio percorso, si offre agli altri la possibilità di condividere e accettare il messaggio di cui ci si sente e si vuole essere portatori. Questo è tuttavia possibile solo in una società democratica, dove il pensiero è libero, la libertà d’espressione in vigore. Di più, direi che in una società democratica, l’unico modo lecito e veramente effettivo di ricevere consensi è proprio quello di mettersi in gioco in prima persona, di affermare le proprie convinzioni con la forza della propria storia e della testimonianza individuale.
Così è che Magdi Allam ha deciso di raccontarci nel suo ultimo libro Viva Israele la sua storia personale, che inizia dagli anni della gioventù e degli studi in Egitto quando l’antisionismo che divampò in seguito alla sconfitta panaraba del 1967 coinvolse Allam stesso, attraversa l’illusione della lotta palestinese per l’indipendenza rivelatasi come un nuovo tentativo di annientare Israele, e arriva fino ad oggi, al periodo italiano che lo vede girare sotto scorta e minacciato di morte per aver condannato i kamikaze di Hamas ed essersi schierato con forza dalla parte dell’Occidente e di Israele.
Un pregiudizio non è mai facile da scardinare, soprattutto se le sue radici sono ben piantate nella società. Come non è possibile curare un virus senza prima averlo individuato e capito, così non è possibile eliminare un’idea malefica come quella antisemita senza prima averne percepito il significato e i profondi risvolti politici e culturali. In questo senso, la scelta di Allam di raccontare il suo confronto con l’antisemitismo, la sua lotta per liberarsene e la sua presa di coscienza rispetto ai significati profondi dell’odio antiebraico è una scelta coraggiosa di cui si sentiva una urgente necessità: il cambiamento e la comprensione profonda di Allam dei canali subdoli e velenosi dell’antisemitismo, vero e proprio o mascherato da antisionismo, ci mostra la via per comprendere da quale parte dobbiamo schierarci se desideriamo mantenere le nostre libertà.
Questo percorso ci viene raccontato con grande chiarezza, le motivazioni psicologiche e storiche dell’odio antiisraeliano che ha investito il mondo arabo vengono scandagliate con precisione, analizzate attraverso gli occhi dell’esperienza, fino a divenire esplicite e portatrici di un equivocabile sillogismo: I fondamentalisti islamici vogliono distruggere Israele, Israele è portatore di libertà, se io amo la mia libertà devo stare dalla parte di Israele.
Ma nonostante le posizioni liberali di Magdi Allam siano da tempo note, penso che questo libro sia tuttavia un passo avanti, uno sforzo ulteriore, un impegno quasi supremo; infatti, leggere un’esclamazione come Viva Israele scritta oggi per mano di un uomo musulmano non può lasciare indifferenti. Si tratta di un fenomeno eccezionale, l’atto stupefacente di un uomo che ha avuto il coraggio di ergersi e andare a infilare una lama dentro alla ferita che sta dissanguando la sua stessa nazione, perché l’antisemitismo e l’odio di Israele è oggi la più grande e dolorosa ferita del mondo musulmano, che potrà guarire e volgersi a un futuro pacifico solo dopo essere riuscito a percorrere la stessa strada fatta da Magdi Allam.
E più oltre, il libro è un richiamo alla responsabilità individuale di ogni persona che crede nella libertà a non rimanere indifferente davanti alle manifestazioni del fondamentalismo, e a non pensare che l’antisemitismo dilagante nel mondo arabo sia un fenomeno locale che non ci riguarda. Significativa in questo senso è la citazione, nelle pagine iniziali del libro, della poesia del pastore Martin Niemoeller sopravvissuto ad Auschwitz:
Essi vennero contro i comunistie io nulla obiettai
perché non ero comunista;
essi vennero contro i socialisti
e io nulla obiettai
perché non ero socialista;
essi vennero contro i dirigenti sindacali
e io nulla obiettai
perché non ero dirigente sindacale;
essi vennero contro gli ebrei
e io nulla obiettai
perché non ero ebreo;
essi vennero contro di me
ma ormai non era rimasto nessuno ad obiettare.