Una debole appartenenza
17 Marzo 2011
Poteva sembrare una decisione scontata quella che ha istituito per il prossimo 17 marzo, e solo per quest’anno, una festa per celebrare i 150 anni dalla nascita dello Stato italiano. Invece, le critiche sollevate da Emma Marcegaglia e da vari dirigenti confindustriali hanno mostrato che così, evidentemente, non è. Indirettamente hanno dunque confermato la capacità che abbiamo nel nostro Paese di dividerci quasi su tutto, perfino sul festeggiare (e come) una data così particolare e unica.
C’è stato anche chi ha proposto di cancellare semmai il 25 aprile, chi ha proposto di riunificare 2 giugno e 17 marzo (ma qui i pareri si sono divisi tra chi collocherebbe la riunificazione il 17 marzo, chi preferisce invece spostarla al 2 giugno).
Per un estremo paradosso, perfino il presidente del Comitato dei garanti per le celebrazioni del centocinquantenario, Giuliano Amato, ha sostenuto che la data del 17 marzo andrebbe ricordata "in modo operoso", e cioè senza fare vacanza a scuola o al lavoro. Resta inspiegabile perché analoghi festeggiamenti operosi non siano mai stati fin qui proposti per altre giornate festive.
le singole motivazioni dei contrari alla festa (non contrari però, aggiungo a scanso di equivoci, all’unità nazionale in sé) siano o meno da buttar via. Il punto è che quelle motivazioni e perplessità sembrano non cogliere che, se gli Stati non vivono certo solo di feste, bandiere e inni, di simboli insomma, non possono nemmeno vivere senza queste cose. Una nazione, sostenne più di un secolo fa il francese Ernest Renan, è fatta di due elementi: una "ricca eredità di ricordi" e la volontà attuale di vivere insieme.
Festeggiare, per una volta sola, il 17 marzo ha a che fare evidentemente con la prima delle due cose. E colpisce che nessuno dei contrari all’istituzione di un giorno festivo abbia apprezzato come — in un Paese abituato a dividersi non poco sulla propria storia — alla fine la Lega abbia accettato la decisione del governo di cui fa parte di istituire una festa per ricordare l’Unità d’Italia. È evidente che i festeggiamenti del 17 marzo non avranno (e come potrebbero avere?) la capacità di dare o restituire agli italiani quella consapevolezza delle ragioni del vivere insieme che sembra da tempo appannata. Cos’altro indicano le altissime percentuali di evasione fiscale (e dunque il mancato rispetto di un principio base della moderna democrazia rappresentativa: no taxation without representation) se non che molti sentono di non appartenere davvero al loro Paese?
Cosa indica il rapporto conflittuale e problematico di milioni di italiani con l’autorità dello Stato nelle sue varie forme se non una percezione assai debole (almeno rispetto ad altri Stati europei) della loro appartenenza a una comunità nazionale? Certamente non sarà l’alzabandiera disposto in tutta Italia per il 17 marzo, non saranno gli inni e i discorsi di quel giorno, non saranno i fuochi d’artificio finali, non sarà insomma il semplice giorno di festa a rafforzare un sentimento di appartenenza nazionale da tempo indebolito e in crisi.
Ma che Paese sarebbe — anzi, in un certo senso, esisterebbe davvero—un’Italia che non ritenesse il 150˚ anniversario della propria nascita meritevole di un’apposita festa?
(Tratto da Corriere della Sera)