Una e bina, la Destra americana non è divisa ma seria, plurale e articolata
27 Gennaio 2011
Del senno di poi sul discorso circa lo Stato dell’Unione sono pieni i giornali. Vale allora concentrare un poco, un poco più di quanto sia stato fatto, l’attenzione sul dopo. Sul dopo immediato a stretto giro (come si dice), cioè sul significato politico davvero notevole che ha avuto la replica dell’opposizione. Anzi, la duplice replica dell’opposizione. Dal 1966 è prassi, infatti, che l’opposizione rivolga una risposta informale, normalmente filmata in una stanza priva di pubblico e trasmessa per televisione, al discorso pronunciato dal presidente alle camere unificate del Congresso federale che riferisce, a norma di Costituzione, sulle condizioni globali in cui versa il Paese. Se il presidente è Repubblicano la risposta è Democratica e quindi viceversa, come accaduto quest’anno.
Ora, quest’anno, cosa assolutamente eccezionale, non ha risposto al presidente solo l’opposizione Repubblicana, nella fattispecie il deputato Paul Ryan, presidente della Commissione Bilancio della Camera, ma anche una seconda deputata, Michele Bachmann, che lo ha fatto a nome dei “Tea Party” con una iniziativa ideata, sponsorizzata e realizzata dal gruppo californiano “Tea Party Express”. Vale a dire una delle realtà più importanti e attive nel movimento, quella che nei mesi scorsi ha portato in tour per il Paese diversi esponenti conservatori per una campagna in parte elettorale e in parte culturale di grande impatto e pure, si è visto, di notevole risultato pratico.
Il significato politico dell’avvenimento è netto. Non, come qualcuno frettolosamente potrebbe dire, che le opposizioni all’Amministrazione retta da Barack Hussein Obama sono due: ma che l’attuale opposizione all’establishment Democratico-liberal è una e bina. Politica e culturale. Partitica e popolare. Democratica ma pure “aristocratica” nel senso che non è determinata solo dal criterio delle maggioranze numeriche quanto anche dalle libere scelte di guide naturali che il popolo opera indipendentemente dai meccanismi canonici e dalle regole scritte della vita politica dei Paesi contemporanei, segnatamente gli Stati Uniti d’America.
Una l’opposizione lo è perché lo strumento adoperato è quello (ancora) del Partito Repubblicano. Ogni candidato proposto dai “Tea party” è stato eletto dagli americani dentro il Partito Repubblicano, nonostante tutto per scelta consapevole sia dei “Tea Party” sia dei Repubblicani. Bina però l’opposizione si dimostra essere poiché, per quanto l’un soggetto (il Partito Repubblicano) veicoli l’altro (i “Tea Party”), Repubblicani e Tea-partier restano realtà distinte. E ci tengono, soprattutto i secondi, a rimarcarlo con chiarezza.
I “Tea Party”, cioè, anche quando e se eletti con i Repubblicani, non smettono di tenere sotto sorveglianza anche i Repubblicani stessi, pronti alla bisogna a secedere se dovesse, in tutta coscienza politica, presentarsene inderogabilmente le condizioni. Ciò esercita certamente una influenza importante sugli stessi Repubblicani, che non si sentono pungolati dalla propria constituency solo in teoria e a parole, ma costantemente e fisicamente. La Bachmann che interviene dopo Ryan lo dice nettamente ai suoi e ai loro. Al contempo, la cosa salva la purezza d’intenzione dei “Tea Party”. Insomma, con buona pace di quanti dicono che ora appare divisa, la Destra americana mostra di essere invece ampia, plurale com’è giusto, articolata com’e doveroso essere e seria di quella serietà che serve di fronte alle cose serie come invece la tessera di un partito, foss’anche il più bello e il più virtuoso, da sola non basta mai a garantire alle persone e ai cittadini.
L’opposizione americana una e bina dimostra che anche i controllori possono e debbono essere controllati. Smentisce tutti quelli che da destra, da ancora più a destra, accusano gli esponenti di rilievo dei “Tea Party” di essere dei “venduti” che i Repubblicani si sono comperati con un piatto di lenticchie. E fa ben sperare, soprattutto gli americani. Il 112° Congresso è stato eletto con un mandato chiaro. Frenare la caduta libera dell’Amministrazione Obama. Se i Repubblicani eletti il 2 novembre dovessero nei prossimi due anni nicchiare, scantonare, compromettersi il servizio di vigilanza fornito dai conservatori punirà pure loro. Ovvero l’opposizione vera potrebbe da una e bina trasformarsi in una e trina mollando i Repubblicani e facendo da sé. La Bachmann che interviene, terza, dopo Obama lo ricorda al peraltro bravissimo Ryan; che se non si fa prendere da inutili colpi di orgoglio dovrebbe essere grato ai “Tea Party” per il pungolo che forniscono e la cartina tornasole che garantiscono.
Da ultimo, si consideri chi è Michele Marie Amble Bachmann. Nata nel 1956, deputata Repubblicana del Minnesota, luterana granitica che però non ci sta affatto a chi gioca, sporchino, sull’antipapismo della sua Chiesa, viene dal movimento dei “Tea Party” e dentro la Camera di Washington ha fondato, il 16 luglio scorso, il Tea Party Caucus dando concretezza a una idea di Rand Paul, allora candidato al Senato federale in Kentucky e poi brillantemente eletto, il quale mirava ad avere, dentro l’organo legislativo del Paese, uno strumento vero di fedeltà politica alla Costituzione federale e alla filosofia del governo temperato.
Per tutti coloro che si fossero sintonizzati solo ora su questo canale, e che quindi, innocentemente, ripetono senza badarci la filastrocca dei “Tea Party” che sarebbero solo tasse e fisco, ricordo che Rand Paul, libertarian di ferro, è uno dei più intransigenti oppositori dell’aborto, un uomo appena eletto a Washignton che questa settimana si è impegnato (come già il suo “mitico” padre, Ron Paul, deputato federale per il Texas) a rilanciare alla grande la proposta di una legge che introdurrebbe il concetto di sacralità della vita umana nell’ordinamento federale statunitense. E che la Bachmann è stata, il giorno prima del discorso obamiano sullo Stato dell’Unione al quale ha risposto a nome dei “Tea Party”, la keynote speaker della cena di fund-raising seguita, il 24 gennaio sera, alla 38a Marcia per la Vita di Washington. Mettere il cappello così sul rebuttal a quello che, a torto o a ragione, viene ritenuto l’evento pubblico più importante in cui è coinvolto l’inquilino della Casa Bianca non è da poco.
Marco Respinti è presidente del Columbia Institute [www.columbainstitute.it] e direttore del Centro Studi Russell Kirk [www.russellkirk.eu]