Una prece per il giornalismo Usa

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Una prece per il giornalismo Usa

23 Agosto 2016

Parlare di tramonto del giornalismo come sta avvenendo negli Stati Uniti, qui da noi può sembrare esagerato, visto che in Italia si continua a propinare la storia della stampa americana fulgido esempio di oggettività, capace di distinguere le notizie dagli editoriali, mettendo questi ultimi in una pagina a parte in modo da chiarire ai lettori che si tratta di pezzi che esprimono il punto di vista e dunque anche il colore politico dell’autore, se ne ha uno. 

Ma basta seguire la campagna elettorale Usa per capire che questo tipo di giornalismo è finito. I grandi giornali sono pieni di news e corsivi che sembrano, anzi, sono veline della propaganda clintoniana. Quella che fu la libera stampa – identificando Hillary con le elite e dunque con il potere costituito – sposa fino all’ultima virgola il programma dell’ex segretario di Stato, trattando lo sfidante, Trump, come un pericolo peggiore dell’Iran nucleare.

Non stiamo esagerando. Il fatto che si mormori di un interesse dello stesso Trump a capitalizzare il suo successo mediatico (ottenuto alle spalle di giornaloni e televisioni subordinate ai due grandi partiti, democratici e repubblicani), aprendo un “terzo polo” della comunicazione tutto suo, al di là di quello che sarà il risultato elettorale, la dice lunga sul futuro di mezzibusti televisivi e in generale della carta stampata.

Quando un canale che tutti ammiravano come CNN balbetta sulle ramificazioni oscure della fondazione Clinton, con il manager di campagna di Hillary che in diretta svicola sulle domande (e glielo lasciano fare), mentre i coniugi informano che faranno chiarezza sui finanziatori solo dopo che la Clinton verrà eletta, beh, si può dire che il giornalismo americano come l’avevamo conosciuto nei film e a scuola di giornalismo è morto e sepolto.