Un’altra notte di terrore per gli ostaggi di Mumbai

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Un’altra notte di terrore per gli ostaggi di Mumbai

27 Novembre 2008

Il “terrore” è partire per un viaggio in India e ritrovarsi nascosto nella propria stanza d’albergo per sfuggire al boia che non ti molla. Fuggire in corridoio scavalcando il cadavere di quello che è stato il tuo vicino e tenersi in contatto con il mondo esterno solo grazie a un cellulare. Come stanno facendo Patrizio e Carmela, chiusi in uno stanzino, parlando con i loro familiari. Aspettano da ore le operazioni di “bonifica” delle forze speciali indiane. Un’esperienza di viaggio tragica.

Non tutti gli ostaggi ce la faranno, com’è accaduto al livornese Antonio Di Lorenzo, imprenditore 36enne che lavorava a Roma. E’ uno dei 125 morti del “brutale attacco” di Mumbai (327 i feriti), come l’ha definito Benedetto XVI. Il fratello di Antonio, Massimiliano, è riuscito a salvarsi rifugiandosi insieme ad altri 40 italiani nella nostra ambasciata. Nessuno altro dei 200 italiani presenti a Mumbai risulta disperso.

Il governo di Delhi ha annunciato che il blitz terrorista degli ultimi due giorni è stato realizzato da cervelli e braccia venute fuori dall’India. Se il Deccan dei sedicenti mujaheddin che hanno rivendicato gli attentati è una regione indiana, c’è chi giura che gli assassini vengono dal Kashmir secessionista, cioè dal cono d’ombra conteso tra India e Pakistan. Ambienti dell’apparato militare indiano hanno fatto intendere che il mandante della strage va cercato a Islamabad. Si aprirebbe allora un nuovo e pericolosissimo fronte in quella che lo storico americano John Podhoretz ha definito la Quarta Guerra mondiale. Nelle ultime ore ci sono stati altri attacchi e altri morti in Afghanistan e nello Yemen. E’ come se la rete nervosa di Al Qaeda fosse entrata in fibrillazione per colpire nelle zone dove gli è concessa una temporanea autonomia di azione.

Il presidente pakistano Zardari si è affrettato a telefonare al capo dell’Indian National Congress, Sonia Ghandi, per condannare gli attacchi. L’uccisione di civili inermi è “un atto detestabile”, dice solennemente Zardari, “la militanza e l’estremismo in tutte le forme e manifestazioni devono essere eliminate e le nazioni libere devono cooperare con tutte le loro forze per raggiungere questo obiettivo”. Secondo Jason Burke, un giornalista che vive in Pakistan citato dalla BBC, “non è inusuale che, dopo questo tipo di attacchi, il governo indiano abbia accusato che i terroristi venivano dal Pakistan. Islamabad è usa rispondere aggressivamente a queste accuse e stavolta potremmo veder nascere una rovinosa crisi diplomatica che poi è quello che volevano gli organizzatori della strage”.

Bush, Israele e l’Europa hanno offerto il loro aiuto. Obama ha promesso che gli Usa rafforzeranno la loro alleanza con l’India e con le altre nazioni per “distruggere i network del terrorismo”. Mumbai è stata colpita proprio per la sua eccessiva occidentalizzazione. E’ la capitale indiana del cinema e dell’intrattenimento che i fascisti islamici odiano perché conoscono soltanto la propaganda e il settarismo cieco del Corano. Chissà se stavolta capiremo che il terrorismo non è fatto di semplici criminali e attentati sporadici ma di professionisti della morte che combattono una vera e propria guerra mondiale su diversi fronti. Un conflitto iniziato qualche decennio fa e di cui il mondo si è accorto solo l’11 Settembre. Da allora è un alternarsi di vittorie e sconfitte.

Gli attacchi di Mumbai mostrano anche qualcos’altro. L’11 Settembre, gli attentati a Londra e a Madrid, sono stati gesti vili e sanguinosi portati a termine da kamikaze che si sono immolati facendosi esplodere. I mujaheddin del Deccan, invece, hanno usato mitragliatrici e granate: non volevano sacrificarsi in un botto, ma sopravvivere facendo il maggior danno possibile. Colpire, uccidere, farsi scudo degli ostaggi, e magari ritagliarsi una via di fuga. “E’ virtualmente impossibile fermare 20 uomini armati di fucili in grado di attaccare qualsiasi posto del mondo se sono pronti a morire” ha commentato Sajjan Gohel, un’analista della Asia-Pacific Foundation. La strategia dei fedayeen somiglia molto di più agli attacchi che hanno insanguinato le città saudite nel 2003 che alle autobomba irachene.

Pensiamo a uno scenario di questo genere esportato in una delle grandi metropoli occidentali. Forse le nostre teste di cuoio offrirebbero più garanzie rispetto alla bolgia bollywoodiana, al caos che si è sviluppato in una megalopoli sospesa tra passato e presente che conta oltre dieci milioni di abitanti. Ma non bisogna essere ottimisti. I terroristi hanno dimostrato di poter usare una tattica potenzialmente devastante: portare la guerra nel cuore delle città uccidendo indiscriminatamente i civili e costringendo le forze di sicurezza a stanarli casa per casa. C’è una bella differenza tra questa tattica e quella di lanciarsi contro un grattacielo alla guida di un Boeing dirottato o farsi esplodere in una stazione del metrò.

L’effetto è comunque dirompente. Centinaia di morti e feriti. Scuole chiuse. Borse chiuse. Nessun business e le strade ridotte a un campo di battaglia. Le compagnie aeree disdicono migliaia di prenotazioni. Questo è il mondo sognato da Al Qaeda e i suoi fedeli. Sempre più impaurito e meno globale. Ma c’è un filo di luce oltre il buio. Nelle ultime 24 ore i blogger indiani (e non solo) hanno tempestato il web con centinaia di notizie su quello che stava succedendo a Mumbai. I loro commenti furibondi, le immagini e le testimonianze, il totale disprezzo verso i terroristi, ci dimostrano che la società civile è ancora capace di indignarsi e resistere al Male. Come il "Mumbai Met Blog" che ha subito messo on line i numeri di telefono degli ospedali invitando la popolazione a donare il proprio sangue. In guerra bisogna mantenere la calma.

(Articolo chiuso alle 23.30)