Unioni civili, senza l’obiezione di coscienza c’è lo stato etico
28 Febbraio 2016
Sulle pagine di Avvenire, Introvigne e Mantovano invitano a soffermarsi su due commi in particolare del maxiemendamento sulle unioni civili. Il secondo, che fissa il rito di costituzione dell’unione fra persone dello stesso sesso mediante la “dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni”; e il ventottesimo (ma si può? Un articolo con ventotto commi! Questo la dice lunga sul nostro legislatore…), che contiene una delega al Governo perché riveda la materia delle iscrizioni e delle trascrizioni nei registri dello stato civile adeguandole a quelle che sono le disposizioni della nuova legge. E va puntualizzato come con il termine “trascrizioni” si rinvii immediatamente ai matrimoni con tratti all’estero da una coppia dello stesso sesso.
La domanda di Mantovano e Introvigne è chiara, “che cosa accade al funzionario dell’anagrafe che, non necessariamente per motivi religiosi o etici, aderendo in coscienza al dato di natura richiamato dall’art. 29 della nostra Carta, chiede di essere sollevato dal rito di costituzione ovvero dalla trascrizione delle nozze contratte all’estero? Il dipendente comunale sa che da quella dichiarazione formalizzata davanti a lui deriva un regime giuridico sostanzialmente matrimoniale: può astenersi dal riceverla, proprio perché essa ha carattere ‘costitutivo’, e alla sua formazione egli dà un contributo determinante? Ci sono precedenti nel nostro ordinamento: citiamo, per tutti, il diritto di obiezione che la legge sull’aborto riconosce al medico e all’esercente una attività sanitaria rispetto alla partecipazione alla procedura che porta a sopprimere il concepito.”
Purtroppo è così: la mancata previsione del diritto all’obiezione di coscienza, tra le altre cose pone un serio rischio per la libertà, soprattutto per quella religiosa. A tal proposito celebre, anche se poi per altre ragioni, è stato il caso Kim Davis. L’impiegata dello stato del Kentucky finita in carcere per essersi rifiutata di trascrivere una unione omosessuale. Nel resto del mondo, per il medesimo rifiuto c’è chi, invece, è stato “banalmente” licenziato. C’è poco da stupirsi. Soprattutto volgendo lo sguardo oltre i confini nazionali, dove il clima è tutt’altro che consolante.
Il prestigioso Royal College of Obstetricians and Gynaecologists ha stabilito che i medici e le infermiere che non vogliano prendere parte a procedure abortive per ragioni di coscienza non potranno più specializzarsi, anche se gli esami sono belli e sostenuti. In Svezia, se siete medici, potete anche dimenticarvi il giuramento di Ippocrate: nel caso vi rifiutaste di compiere un aborto una legge del 1973 potrebbe spedirvi in gattabuia. La Francia socialista ha tagliato la testa al toro, ricorrendo direttamente ad una iniziativa parlamentare per proibire l’obiezione di coscienza.
E si potrebbe allungare ancora la lista. Da tempo è stata sguinzagliata, in tutto l’occidente, una rete di giudici hacker, il cui obbiettivo è riprogrammare le coscienze soffocandole. Mantovano e Introvigne si domandano: “e se in Itala accadesse altrettanto?” Come non tremare dinanzi a una simile prospettiva. La battaglia per l’obiezione di coscienza è una battaglia secondo ragione, nulla di più. Proprio nel paese che nel 1998 varava una legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare. Per esempio.
Ma lo stato etico non ammette deroghe né obiezioni di coscienza, semplicemente perché non ammette l’esistenza di una coscienza che preceda la legge. Anche se ce lo auguriamo, probabilmente, l’assenza nel ddl Cirinnà dell’obiezione di coscienza, non è una dimenticanza. Gli inganni asserviscono, perché lì dove non c’è giustizia, non c’è libertà.