Università, per ogni ministro un “vaffa”
30 Novembre 2010
Università “okkupate”, orde di ragazzini armati di megafoni, strade bloccate, slogan (e insulti) urlati e stampati a caratteri cubitali sugli striscioni, docenti e ricercatori infuriati per tagli e mancanza di risorse. Siamo nel 2006? O forse nel 1996? Nel 2000 o 1994? No, siamo nel 2010 e quella descritta è una delle immagini che campeggia sulle prime pagine dei quotidiani nazionali di questi giorni, che ci raccontano dell’ennesima protesta del mondo della scuola e dell’università contro una riforma che sembra proprio non piacere. Sai che novità.
Il bersaglio di turno è Maria Stella Gelmini – già oggetto di un’altra ondata di proteste nel 2008 quando partorì la riforma della scuola che porta il suo nome – invitata caldamente dai manifestanti a “dimettersi” e il suo ddl, una “riforma fantoccio”, un “editto medievale” che renderebbe “il futuro un buco nero”.
Per ogni decreto o proposta di legge presentata per riformare il sistema scolastico e accademico sembra che debba scoppiare un nuovo ’68 ma ogni volta il tutto si risolve in un fuoco di paglia – gli studenti sanno davvero per cosa protestano? Quale alternativa concreta propongono docenti e ricercatori? – e per ogni ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (di destra o sinistra che sia) si ripresenta il solito film. Insomma, tanto (lo stesso) rumore per nulla.
Nella “hit parade” dei ministri più odiati non si può non menzionare Letizia Moratti. Solo qualche anno fa con fumogeni, caschi e manganelli, 250.000 studenti si riversavano in piazza contro l’allora odiatissima riforma della scuola (legge 53, del 28 marzo 2003) al grido di: “Riforma Moratti? Meglio la fame!”. Quella che per il ministro dell’Istruzione avrebbe dovuto sancire una scuola “su misura per tutti” diventava una “riformetta” e l’opposizione parlava di “ritorno al passato” e di una “proposta dequalificante per l’università italiana” e provocò l’assedio di Montecitorio – il termine militare è più che appropriato dato che nella piazza antistante il Palazzo della Politica vennero schierate 26 camionette, due pullman tipo granturismo e otto jeep dei carabinieri – da parte di un migliaio di esponenti del mondo della scuola. Come le sue tre “i” (internet, impresa, inglese) e l’ingresso nella scuola primaria a 5 anni e mezzo, la sua riforma è storia recente, ancora riecheggiano le voci degli studenti delle facoltà di Veterinaria: “Più gatti meno Moratti”.
Altro giro, altra giostra. Nel 2007 toccava alla riforma Fioroni – i suoi dicktat: tempo pieno nella scuola primaria, obbligo scolastico fino a 16 anni, reintroduzione degli esami di riparazione – l’“ennesima minaccia alla scuola pubblica”. Nell’ottobre di quell’anno in ben 130 città manifestazioni e cortei sono stati organizzati dai ragazzi della scuola italiana per dire “no agli esami di riparazione e alle punizioni più severe”. Quegli studenti che sulle note di Fischia il vento dei Modena City Ramblers chiedevano più risorse finanziarie per scuola e università e una risposta chiara sul decreto sui debiti formativi, lanciavano uova nelle piezze, assediavano gli atenei e urlavano: “Il fiore sboccia, Fioroni boccia…”. Stessa sorte toccò all’allora ministro dell’Università e della Ricerca Fabio Mussi, aspramente criticato da rettori universitari e docenti per la sua riforma dei concorsi definita “un fallimento”.
Retrocedendo di un decennio si arriva alla riforma di Tullio De Mauro. Come dimenticare l’episodio durante il quale gli studenti universitari della Cattolica di Milano, alla presenza dell’allora ministro della Pubblica “Distruzione” abbandonarono in massa l’aula magna esponendo cartelli in cui De Mauro veniva mostrato con le orecchie da somaro? Quella riforma della scuola veniva accusata di essere l’università “in un’ultima fase del liceo, a sua volta abbassato nel livello culturale e formativo”. La rottura, fortissima, poi, si ebbe con il mondo dei professori che chiedevano più soldi in busta paga e aumenti di stipendio uguali per tutti.
Slogan, cartelli e muri imbrattati con lo spray animavano anche le proteste contro la riforma “strozzata in culla” di Luigi Berlinguer . La sua rivoluzione dell’istituzione scolastica, abrogata dalla Moratti prima che fosse applicata, prevedeva la riforma dei cicli, con valutazioni di merito dei docenti. Il polverone unì destra e sinistra, nonostante il cognome del ministro: “Berlinguer non fare il fico, non sei degno del nome di Enrico”. Il numero chiuso e l’influenza degli ordini professionali, le aule affollate, gli spazi ridotti, la mancanza di una mensa: queste le motivazioni che portarono migliaia di studenti a invadere gli atenei e ad alzare striscioni. “Ci opponiamo alla costituzione delle scuole di specializzazione, ai finanziamenti alle scuole private, ai tagli alla ricerca, alla repressione dei movimenti nelle scuole e alla riforma Berlinguer dell’università, che distrugge il diritto allo studio”, gridavano gli studenti della Sapienza.
E ancora: “La prossima settimana partiranno altre occupazioni e altre autogestioni. Vogliamo dire la nostra sui cambiamenti in atto nella scuola, e nessuno deve illudersi di poterci chiudere la bocca” urlava a pieni polmoni una studentessa in protesta per il mancato confronto con il ministro sui temi ‘caldi’ (ad oggi sempre più tiepidi) della protesta.
In meno di un anno di mandato tra il ‘94 e il ‘95 non la scampò neanche Francesco D’Onofrio che abolì gli esami di riparazione introducendo i debiti. La dedica: “Abbiamo un sogno nel cuore, D’Onofrio a San Vittore”.
Nel ‘93-‘94 ministro della Pubblica Istruzione è Rosa Russo Iervolino. Già si parlava di tagli, con il decreto “mangia classi”, e di personalità giuridica e autonomia finanziaria per le scuole pubbliche. Indimenticabile la censura all’opuscolo anti-Aids di Lupo Alberto, che informava gli alunni delle superiori sull’uso del preservativo. La piazza non risparmiò nulla a Rosetta: “Iervolino ti raccogliamo con il cucchiaino”. E in un’uscita pubblica a Venezia, coperta dai fischi di docenti precari, dovette difenderla il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.
Pericolo alta tensione, insomma. Chiunque abbia toccato e tocchi l’istruzione scolastica pubblica rischia la scossa. E se oggi il ministro Gelmini raccoglie ire e un mare di critiche basta ripercorrere la storia della scuola e dell’università degli ultimi vent’anni per rendersi conto che la stessa sorte è toccata anche ai suoi predecessori, di ogni colore politico, a ogni loro fare (o disfare). Le alternative concrete dei manifestanti sono sempre le stesse e identiche le modalità di protesta da decenni. Salvo l’originale, quanto inutile, trovata di qualche politico di salire in cima ai tetti.